In Italia essere donna è spesso causa di disuguaglianze in ambito lavorativo, essere mamma lo è ancora di più. Il Progetto maam – maternity as a master prova a ribaltare questo assunto, facendo diventare queste condizioni un’opportunità. Pubblichiamo un estratto del racconto e dell’intervista pubblicati dal sito SecondoWelfare.

La maternità non è un ostacolo che indebolisce le aziende ma, al contrario, una opportunità che le rende più forti e competitive. È il presupposto fondamentale su cui si basa maam – maternity as a master, progetto nato dal 2013 che, attraverso una lunga serie di ricerche, interviste, focus group e sondaggi, ha permesso di sviluppare una innovativa teoria di cambiamento in cui le competenze genitoriali diventano la base per ripensare nel profondo l’organizzazione del lavoro e la dimensione della leadership. Prima attraverso un libro di successo, poi tramite una piattaforma online sempre più complessa, quello di maam è ormai un approccio adottato da decine di aziende nazionali e internazionali. Abbiamo chiesto a Valeria Farina, che per maam si occupa di Sales&Marketing, di raccontarci i tratti più interessanti di questa iniziativa.

Da dove nasce l’idea di maam?

Maam nasce in Italia, Paese in cui come sappiamo il tema “donne e lavoro” si inserisce in un contesto sociale, economico e culturale non propriamente roseo. Mi limito a segnalare alcuni fatti: l’occupazione femminile si attesta al 46 per cento contro una media europea del 60 per cento; la partecipazione socioeconomica delle donne nel 2015 si posizionava al 111esimo posto su 142 Paesi; secondo l’Istat una donna su 4 non torna al lavoro dopo la maternità; in Europa siamo il Paese con la più alta percentuale di famiglie monoreddito, pari al il 37 per cento; il tasso di fertilità è tra i più bassi del mondo: appena 1,4 figli per nucleo familiare.

In Italia la maternità viene trattata dal sistema come un’anomalia: una “crisi” che si ripete sempre uguale e che spezza il ritmo del lavoro e della carriera delle donne. Sempre nel nostro Paese, però, le aziende cercano sempre più disperatamente di reclutare persone con forti competenze relazionali, con capacità di problem solving e di innovazione, dotate di visione e senso di responsabilità, capaci di gestire il tempo e le priorità, in grado di far crescere progetti e persone. Guarda caso proprio le competenze che possiede chi, come una mamma, si prende cura degli altri!

Sintetizzando potremmo dire che, da un lato, maternità = crisi lavorativa e, dall’altro competenze relazionali = sviluppo lavorativo. L’idea che ci siamo dati è che partendo da questi elementi si potesse creare una nuova analogia: maternità = sviluppo lavorativo. Per farlo basta scomporre la maternità nei suoi due fattori di base: si è assenti dal lavoro, ma nello stesso tempo di sviluppano competenze. E in quale altro contesto succede che l’assenza dal lavoro coincida con lo sviluppo di nuove competenze? Nei master. Questo è stato il pensiero semplice da cui è nato maam, che appunto significa maternity as a master.

E questa analogia come ha preso vita?

Per un anno, nel 2013, il team di maam ha fatto ricerca sulla sua intuizione iniziale. Le neuroscienze, le scienze comportamentali, le evidenze empiriche hanno confermato la nostra tesi. Da lì si è aperto il confronto con le donne attraverso focus group e interviste semistrutturate da cui sono emersi dati significativi e potenti. Ci hanno aiutato in questo percorso Andrea Prandin, dottore in Scienze dell’Educazione, consulente pedagogico, formatore, Diletta Cicoletti, sociologa, ricercatrice sociale, formatrice e consulente e AnnaMaria Passaggio, che è coach ontologico, counsellor ad approccio centrato sulla persona e facilitatrice di gruppi. Riporto una sintesi della ricerca svolta con loro, che credo possa ben spiegare il percorso che abbiamo fatto e alcuni dei dati che abbiamo raccolto:

«È stato interessante rilevare come anche la maternità, come tutte le esperienze in cui anche solo per un momento si perde il controllo di ciò che accade e di ciò che siamo, sia una esperienza che trasformi e che spesso attivi delle vere e proprie scelte di vita (e quindi cambiamenti). È come se accadesse qualcosa rispetto alla propria “vocazione” o identità e si costituisse un’occasione per prendercene cura, recuperando la dimensione temporale, ma anche quella emotiva, la dimensione relazionale e quella individuale o soggettiva. Un vero “percorso benessere”, che può transitare, e anzi di frequente accade, per momenti di crisi e di fatiche, momenti in cui ancora una volta si può attingere ad energie inedite per proseguire nel percorso verso la consapevolezza con una maggiore forza e presenza per sé e per gli altri. Questa forza rivoluzionaria fa il suo ingresso in azienda o nel mondo del lavoro proponendo una presenza sicuramente differente.

La maternità/genitorialità, come tutte le altre esperienze di forte cambiamento, è “potenzialmente” trasformativa e generatrice di competenze. In questo senso la transilienza non è di per sé “automatica” rispetto ad alcune esperienze di vita. Inoltre, quanto avviene, sembra avere livelli di consapevolezza molto differenti. In diverse occasioni infatti è sembrato che le domande di ricerca aiutassero le intervistate a focalizzare e vedere (consapevolizzare) alcune trasformazioni e nuove competenze già in atto nella propria pratica professionale.

Ecco allora che maam si inserisce come strumento di accompagnamento alla consapevolezza di per sé “non automatica”, evitando anche l’emergere nel processo di cambiamento di derive opposte: involuzione, irrigidimento, chiusura bisogno di controllo, autocentratura. Il progetto maam si costituisce quindi come un progetto che ha una funzione, sia per i partecipanti che per i loro contesti di lavoro, di tipo trasformativo – e non di tipo istruttivo o semplicemente formativo”.

A queste evidenze raccolte attraverso i focus group e le interviste, tra giugno e settembre del 2014, è stato affiancato un sondaggio su un campione casuale di lettrici del blog 27esima ora del Corriere della Sera, a cui hanno risposto oltre 1.100 donne portando alla luce dati dalla potenza innovativa rivoluzionaria: l’87,5 per cento ha detto che, da quando è diventata madre, ha migliorato la capacità di gestione del tempo, l’86 per cento la capacità di ascolto e l’86 per cento ha più energia nel fare le cose. Tra le capacità acquisite o migliorate occupandosi dei figli e utili sul lavoro, le donne hanno indicato per il 36.5 per cento il time management, 14,2 per cento la pazienza e la tenacia, l’11,6 per cento l’ascolto attivo, il 10.4 per cento il multitasking. La ricerca è poi proseguita con incontri formativi diretti al pubblico delle madri guidati da coach/ricercatori sociali, sia fuori che nelle aziende tra cui citiamo Nestlè, Luxottica, Pirelli, Unicredit, Invitalia, Valore D, Barclays Italia, Ikea, Barilla, Schneider Electric.

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