Le dichiarazioni di Mario Draghi sulla cessione di sovranità all’Unione europea per quanto riguarda le riforme strutturali suonano piuttosto pesanti nel panorama politico italiano. Eppure sembra che in pochi le abbiano recepite come tali, e tra questi non c’è sicuramente il presidente del Consiglio, che ha cercato come sempre di trovare aspetti positivi nell’affondo del presidente della Bce (Banca centrale europea). Ecco la traduzione delle parole di Draghi: «Ho detto più volte che è giunto il momento di condividere sovranità in quell’area [l’area delle riforme strutturali, ndr], prendendo l’area delle riforme strutturali nel mercato, riforme sui prodotti, legislazioni sui singoli mercati, implementazioni e riforme del mercato del lavoro sotto una disciplina comune dell’unione, sotto — in altre parole, cercando di replicare il nostro successo nell’area del bilancio, anche nell’area delle riforme». La reazione di Matteo Renzi è perfettamente rispondente al suo stile comunicativo, ovviamente: «Io sono d’accordo con Draghi. Il presidente della Bce ha detto una cosa sacrosanta: abbiamo bisogno di rimettere in ordine l’Italia per farla diventare più competitiva. Per questo motivo servono le riforme. Con le quali l’Italia torna a crescere e a volare». E sulla sovranità ha aggiunto: «[Draghi, ndr] Ha fatto un ragionamento più ampio sull’Europa. Non ha detto che l’Italia deve andare verso una cessione di sovranità, ha parlato di Eurozona».
Per carità, è vero che nel suo discorso Draghi non stava parlando precisamente dell’Italia quando accennava alla cessione di sovranità sulle riforme, ma crediamo che anche chi è poco avvezzo alle questioni di politica e diplomazia abbia capito che la frase sottintesa alla fine del discorso era “chi ha orecchie per intendere, intenda”. L’Italia è infatti, tra i Paesi dell’Ue, tra i più in difficoltà, e gli ultimi dati sullo stato recessivo della nostra economia parlano chiaro. «Renzi appare, nella risposta al Presidente della Bce, del tutto inadeguato – osserva Alberto Puliafito su Blogo –. Draghi sta parlando di cessione della sovranità alla Commissione europea. Lo dice chiaramente, senza nascondersi dietro a giri di parole. Una dichiarazione del genere richiederebbe una risposta di ben altra levatura e non certo plaudente». Dalle parti di Bruxelles, evidentemente, c’è poco interesse per la riforma del Senato italiano e molto per quella del lavoro, che stenta a farsi vedere.
Da un certo punto di vista capiamo la fretta dell’esecutivo di portare avanti il discorso del nuovo Senato (al di là del ritorno di immagine che ne deriverebbe): uno snellimento delle attività parlamentari permetterebbe una maggiore agilità nel portare avanti tutte le altre riforme. Ma i tempi per l’applicazione saranno comunque lunghi, se è vero che oggi il governo si trova un enorme carico di lavoro proveniente dagli esecutivi precedenti, dai quali ha ereditato l’onere di emanare una serie di decreti attuativi che risalgono a riforme varate nel 2011. «Il lavoro più pesante spetta al ministero dell’Economia – scrive il Sole 24 Ore –, che deve preparare 33 provvedimenti di attuazione, seguito dall’Ambiente (24 tra decreti e regolamenti), dalla Presidenza del consiglio (22) e dai Beni culturali (18). Un fardello reso ancora più gravoso dall’eredità che il governo Renzi ha ricevuto dai precedenti esecutivi a guida Monti e Letta. Si tratta – sempre secondo il monitoraggio illustrato ieri – di altri 531 provvedimenti (258 ascrivibili a Monti e 273 a Letta), su un totale di 1.153 previsti, che ancora mancano all’appello per dare completa efficacia alle manovre varate a partire dal 2011, dalle riforme per la crescita a quelle sulla semplificazione, la spending review, il lavoro, la cultura, i costi della politica, i tributi».
Insomma, la politica è una macchina più lenta e impacciata di quanto voglia far credere il presidente del Consiglio. E il senso delle parole di Draghi è ben riassunto da questa osservazione di Stefano Folli, sempre sul Sole, «Se l’Italia non riesce a sollevarsi da sola, l’Europa non permetterà che vada alla deriva e gli interventi potrebbero essere molto decisi».