Corre voce che alla Reggia di Caserta, dopo il tramonto, si aggiri una presenza sconosciuta, indecifrabile. Un fantasma? Un ospite vagabondo? Niente di tutto ciò, è solo il direttore, Mauro Felicori. Questi non è né uno stakanovista, né un maniaco del lavoro, eppure è stato attaccato dai dirigenti locali di alcuni sindacati (Uil, Usb e Ugl) per vari motivi, tra cui uno molto curioso: lavora troppo. Il direttore, nominato cinque mesi fa dopo aver vinto un bando pubblicato dal Ministero della cultura, ha minimizzato l’accaduto con un’eleganza a cui non siamo abituati nella dirigenza pubblica: «Sciocchezze – ha detto al Corriere –. In cinque mesi avrò fatto le undici di sera in ufficio giusto un paio di volte. Per il resto, comincio a lavorare alle 8,30-9 del mattino e finisco 12 ore dopo, alle 9 di sera. Poi, quando non ho delle cene di lavoro, vado a dormire in un alloggio qui vicino della caserma dell’aeronautica. Mi mancano mia moglie e le mie due figlie, sparse tra Bologna, Londra e Milano. Ma io sono un manager, chiamato qui per una grande sfida e l’ho accettata. Ecco tutto». Una descrizione che forse toglie un po’ di fascino al personaggio costruito dai media (e dalla lettera inviata dai sindacati nei giorni scorsi), ma riconduce tutta la vicenda a un ambito di normalità al quale molte strutture pubbliche dovrebbero abituarsi.
Leggendo le accuse, Felicori è dipinto come una figura aliena, giunta a seminare il caos dove prima regnava l’ordine. Chiunque sia stato alla Reggia negli ultimi anni si sarà reso conto di come il sito non brilli per rigore nella manutenzione e funzionalità, dunque dubitiamo che ci fosse chissà quale delicato equilibrio organizzativo da preservare. Felicori ha risposto alle accuse contestando il fatto che la sua presenza oltre l’orario di chiusura possa rappresentare un rischio per la sicurezza: ha infatti spiegato al Post che «“la reggia è vigilata sette giorni su sette, 24 ore su 24. Anche di notte [ci sono] otto persone”, e che non ha mai chiesto straordinari a nessuno nonostante abbia la possibilità di farlo».
C’è poi l’accusa del cambio di mansione di alcuni dipendenti, effettuata al di fuori dei termini contrattuali. Su questo, «Felicori ha spiegato di non avere ancora spostato nessuno, come invece ha scritto il Mattino. Felicori ha precisato di aver approvato un nuovo schema organizzativo del personale – che per esempio ha già comportato un cambio del dirigente che si occupa del servizio di vigilanza – che in futuro prevederà degli spostamenti di personale, che però per il momento non sono avvenuti (Felicori ha sottolineato invece di aver aperto un bando rivolto a tutti i dipendenti per rinforzare l’ufficio del bilancio, cosa apprezzata anche dai sindacati). Felicori ha anche detto di aver discusso del nuovo piano, ma che in quell’occasione i sindacati hanno chiesto la parafrasi di quel [sistema] che c’è già».
La polemica, condannata dalle altre sigle sindacati (ma anche dalla direzione nazionale delle sigle sindacali firmatarie), ha avuto l’indubbio merito di portare attenzione sulla Reggia e sul suo direttore. Il patrimonio culturale italiano ha infatti bisogno di personaggi del genere per essere valorizzato appieno e attrarre il pubblico che merita. Come spesso accade in questi casi, la sensazione è che attorno a chi prova a portare un cambiamento e una visione diversa si frapponga un sistema avverso, pronto a tutto per mettere degli ostacoli e lasciare tutto così com’è.
Proprio la presenza, di cui parlavamo in apertura, è ciò che spesso manca da parte dei direttori di grandi strutture. I dirigenti sono persone con molti impegni (e spesso troppe cariche), e dunque talvolta dispensano con parsimonia la propria presenza nei luoghi in cui sono incaricati. Succede anche a causa del fatto che, giustamente, a un bando pubblico può partecipare chiunque, dunque, come in questo caso, non era detto che fosse un casertano a vincerlo. Felicori è di Bologna, ma ha scelto di vivere a Caserta, di esplorare il territorio circostante e di usare i social network per parlarne. Durante una delle sue visite si è imbattuto nei murales di San Potito Sannitico, di cui abbiamo parlato quest’estate su ZeroNegativo, esprimendo apprezzamento. Speriamo che il processo di cambiamento continui e sia d’esempio per altre realtà, e che questo patrimonio ritorni ai suoi legittimi proprietari: i cittadini.
Fonte foto: flickr