La paura dell’effetto delle nuove tecnologie non è una prerogativa esclusiva dei nostri tempi. Già Socrate, nel V secolo a.C., ammoniva contro il pericoloso effetto per la memoria della più rivoluzionaria delle tecnologie: la scrittura. Ne parla Emanuele Bottazzi in un articolo per La scienza in rete, che pubblichiamo di seguito.
Usando questo strumento, gli studenti “non useranno la propria memoria”, “non impareranno niente”, “non avranno contatto con la realtà”. Non stiamo parlando dell’ultima critica sugli smartphone in classe, ma dell’ammonimento di Socrate contro l’uso della scrittura. La prima invettiva contro l’uso delle nuove tecnologie nella didattica risale al V secolo avanti Cristo. Nonostante la sua età, si è tramandata per più di due millenni senza variazioni significative, se non nello strumento contro il quale si rivolge.
Nell’antichità, Socrate non è il solo a scagliarsi contro la scrittura, come ricorda Ann Blair dell’Università di Harvard, esperta nella storia della scrittura e della lettura. Nella Bibbia si trova la massima: “I libri si moltiplicano senza fine, ma il molto studio affatica il corpo”, ripresa diversi secoli dopo da Seneca: “Una massa di libri opprime chi studia”. Dopo l’invenzione della stampa i commenti catastrofisti sulla proliferazione dei libri si moltiplicano. Il più emblematico è forse quello di Adrien Baillet, il biografo di Cartesio: “Abbiamo ragione di temere che la moltitudine di libri che cresce di giorno in giorno in modo prodigioso farà cadere la società in uno stato di barbarie paragonabile a quello succeduto alla caduta dell’Impero Romano”.
Alla fine del XIX secolo, quando ormai i libri e la carta stampata erano accettati come uno strumento quotidiano, l’antica critica trova nelle scuole pubbliche il suo nuovo bersaglio. Secondo un articolo pubblicato sul The sanitarian, rivista medica del tempo, la scuola “esaurisce il cervello e il sistema nervoso dei bambini con studi complessi e molteplici, e rovina i loro corpi con un imprigionamento protratto”. La comunità medica del tempo ritiene inoltre che lo studio eccessivo causi pazzia nei giovani.
Nel XX secolo a essere accusata è un’innovazione tecnologica che non è legata al contesto didattico: la radio, che secondo la rivista Grammophone avrebbe distratto gli studenti dai compiti e disturbato l’equilibrio delle loro menti eccitabili. Pochi decenni dopo, le stesse critiche sono state mosse nei confronti della televisione, rimasta sotto attacco fino a pochi anni fa. Ellen Wartella della Northwestern school of communication dell’Illinois, specializzata sugli effetti che i media hanno sui giovani, ha osservato che “gli oppositori della televisione hanno sollevato più volte il timore che potesse essere dannosa per la conversazione, per la lettura, l’ascolto della radio e per i ritmi di vita familiare”. È interessante osservare che la radio, osteggiata fino a pochi decenni prima, era già stata accolta in quella che era diventata la normalità familiare e aveva già assunto una valenza culturale che le era stata negata nei primi anni della sua diffusione.
Negli anni ’80 l’adagio di Socrate si è rivolto ai walkman. I detrattori di questo strumento, tra cui il filosofo americano Allan Bloom, sostenevano che l’ascolto di musica in cuffia fornisse uno stimolo incessante capace di distrarre i giovani da obiettivi più nobili. Oggi tocca agli smartphone finire sul banco egli imputati, facendo dimenticare le accuse rivolte a radio, televisione e walkman.
Una decostruzione ironica che prende di mira il continuo riproporsi della critica socratica viene dallo scrittore Douglas Adams, noto per la sua Guida galattica per autostoppisti: “Qualunque cosa esista nel mondo quando nasciamo, ci pare normale e usuale e riteniamo che appartenga per natura al funzionamento dell’Universo. Qualunque cosa sia stata inventata nel ventennio intercorso tra i quindici e i trentacinque anni è nuova, entusiasmante e rivoluzionaria, e forse rappresenta un campo in cui possiamo far carriera. Qualunque cosa sia stata inventata dopo i trentacinque anni va contro l’ordine naturale delle cose”.
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