All’ultimo Congresso sull’obesità, che si è svolto a Porto lo scorso fine settimana, sono stati presentati i risultati di uno studio che smentisce uno dei miti del nostro tempo, ossia il fatto che si possa essere al contempo in sovrappeso e perfettamente in salute a livello metabolico. Nel mondo anglosassone si usa l’espressione fat but fit (che si potrebbe tradurre come “grasso ma in forma”), e identifica quelle persone che hanno un alto indice di massa grassa (o Bmi, body mass index), ma non presentano situazioni cliniche diverse da persone in peso forma. Il problema è che non si possono giudicare condizioni così diverse facendo una semplice istantanea di valori e parametri in un dato momento.

Per avere un’idea dei rischi che l’obesità porta con sé, bisogna osservare un periodo finestra sufficientemente ampio. Ed è quello che hanno fatto i ricercatori dell’università di Birmingham, che hanno preso in considerazione la situazione clinica di 3,5 milioni di persone (61mila delle quali hanno poi sviluppato malattie coronariche) nel corso di vent’anni, dal 1995 al 2015. Gli individui sono stati divisi in diversi gruppi di osservazione in base al loro Bmi e al fatto che presentassero alcuni problemi spesso legati all’obesità (diabete, ipertensione, iperlipoproteinemia). Coloro che avevano un alto Bmi, ma nessuna delle patologie appena elencate, erano classificati come “obesi metabolicamente sani” (in pratica fat but fit). Prima di arrivare alle conclusioni, va detto che la scelta di utilizzare il Bmi può destare perplessità visto che, secondo questo indice, una persona con una massa muscolare molto sviluppata (un bodybuilder per esempio) può risultare “in sovrappeso”, pur non essendolo. Su un campione così ampio, comunque, tale possibile errore non distorce i risultati ottenuti.

Lo studio ha riscontrato che il gruppo fat but fit ha avuto un rischio più alto del 50 per cento di sviluppare malattie coronariche, rispetto ai soggetti di peso normale. Inoltre è stato registrato un aumento del rischio del 7 per cento di contrarre malattie cerebrovascolari, cioè problemi che riguardano l’apporto di ossigeno al cervello. Dato l’alto numero di casi analizzati e il lungo arco temporale, la ricerca ha avuto grande rilievo e ha smentito (probabilmente una volta per tutte) altri studi, di portata più ridotta, che sembravano suggerire la possibilità di condurre un’esistenza fat but fit priva di rischi a lungo termine per la salute. In un articolo che parla dell’argomento, il Guardian cita anche un altro studio, condotto in Svezia, che ha affrontato il fenomeno da un altro punto di vista, e che va ad aggiungere ulteriori prove all’importanza di condurre stili di vita sani fin da giovani. La ricerca citata è stata presentata ad agosto dello scorso anno e riguardava 1,3 milioni di uomini, seguiti durante un periodo di trent’anni.

I ricercatori hanno rilevato che le persone che a 18 anni erano più in forma avevano il 51 per cento in meno di probabilità di morire prematuramente rispetto a quelli meno in forma. Ma se con l’età questi diventavano obesi, allora il vantaggio accumulato in giovane età tendeva a scomparire. Dunque, da questo punto di vista, un Bmi basso durante la giovinezza è quasi più importante rispetto a fare fitness a livelli serrati in età adulta. Il Guardian riporta le parole di Susannah Brown, scienziato senior al World Cancer Research Fund, che parla del bisogno urgente di affrontare seriamente l’epidemia di obesità. «Oltre ad aumentare il rischio di malattie cardiovascolari, essere in sovrappeso o obesi può aumentare l’insorgenza di 11 forme di tumore, tra cui quello alla prostata e al fegato. Se tutti fossero in peso forma, circa 25mila casi di cancro potrebbero essere evitati ogni anno nel Regno Unito». Visto che siamo in argomento, concludiamo ricordando che nei mesi scorsi è nata l’associazione polisportiva dilettantistica AviSport, che promuove stili di vita sani organizzando corsi di nordic walking. Tutte le news sul sito e sulla pagina Facebook.

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