Giusto per confondere un po’ le idee, partiamo subito con i numeri: 14, 34, C-81/12 (va bene, abbiamo mentito, c’era anche una lettera, ma la sostanza non cambia). Non sono buttati lì a caso, né sono frutto di un codice crittografato. O forse sì, perché dietro a quelle crude cifre (e lettere) ci sono tre storie importanti nella strada che porterà (presto si spera) alla fine della discriminazione dovuta alle preferenze sessuali. Facciamo ordine e iniziamo col dare profondità al numero 14, che nasconde la notizia più nota e ribattuta dai giornali. La Francia è il 14esimo Paese ad aver detto il fatidico sì davanti all’altare della causa gay, ossia alle nozze tra omosessuali. Il nuovo articolo del codice civile francese contiene ora questa formula, semplice quanto rivoluzionaria: «Il matrimonio è contratto tra due persone di sesso opposto o dello stesso sesso». Tra fischi e applausi, il provvedimento è stato approvato definitivamente dall’Assemblea nazionale, e a giugno si potranno celebrare i primi matrimoni gay della storia francese. Normale che ci sia chi non è d’accordo. Ma poniamo a chi si schiera apertamente per il “no” una semplice domanda: che male fa? Chi danneggia il fatto che due persone dello stesso sesso possano sposarsi? Al di là delle convinzioni, del quieto vivere, della morale diffusa, si provi a ragionare con la propria testa e a darsi una risposta concreta e secca alla domanda. Che male fa? Non vuole essere una provocazione, e se lo sembra, è qualcosa che ci mette chi legge, non chi scrive.

Ma andiamo avanti con i numeri. Il secondo lo spieghiamo con questa dichiarazione: «I’m a 34-year-old Nba center. I’m black. And I’m gay». A dirlo è Jason Collins, primo giocatore della storia del basket americano a dichiarare la propria omosessualità, all’età di 34 anni. Leggendo la vicenda, scritta di suo pugno e pubblicata su Sports Illustrated, si impara molto. Le esitazioni nell’accettare la propria sessualità e quelle relative alla condivisione con gli altri della notizia. La ricerca della famiglia, la necessità di essere accettato innanzitutto dai propri affetti. Il peso sulla coscienza che si sgretola e svanisce nel momento in cui dall’altra parte arriva la comprensione e poi l’empatia. Il messaggio che arriva, in estrema sintesi, è che un essere umano è completo solo quando accetta ogni parte di sé. Una consapevolezza che per Jason è arrivata dopo 34 anni di riflessione nel limbo del non detto. Una vita.

L’ultima serie alfanumerica è il codice della causa accolta da una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, relativa alle dichiarazioni del presidente di una squadra di calcio rumena, la Steaua Bucure?ti FC. George Becali affermò nel 2009 che la sua squadra mai e poi mai avrebbe ingaggiato uno sportivo omosessuale. Grazie all’associazione Accept, il signor Becali è ora costretto a fornire l’onere della prova che la sua società non abbia applicato politiche di assunzione discriminatorie nei confronti dei giocatori. Un risultato importante, che riporta l’attenzione alle parole e al loro peso in una società che sta faticosamente cercando di aprirsi a una concezione più avanzata dei diritti civili. Speriamo che alla fine di questo articolo risultino più chiari i numeri elencati in apertura, e soprattutto di poterne leggere ancora molti altri che nascondano storie dagli esiti altrettanto felici.

[Domani il blog non sarà aggiornato, appuntamento a giovedì 2 maggio per il prossimo post!]