Sono momenti difficili per parlamentari e dipendenti della Camera. Da qualche giorno, infatti, la società che gestisce il servizio della buvette ha comunicato ai dipendenti del bar di esigere lo scontrino dai clienti prima di servirli. La divertente cronaca di Tommaso Ciriaco per Repubblica parla di occhiatacce gelide e richieste di spiegazioni da parte degli onorevoli avventori che, per la prima volta da quando sono stati eletti, si vedono chiedere prima il pagamento e poi il servizio. Uno choc culturale inammissibile.

Dietro alla decisione, che sta esponendo i dipendenti del bar a momenti di tensione (se chiedono lo scontrino rischiano risposte insolenti, se non lo fanno i provvedimenti disciplinari incombono), c’è il mancato guadagno denunciato dalla compagnia che gestisce il servizio, la Compass: «Sulla base dei bilanci della Camera degli anni precedenti, la Compass prevedeva di incassare mezzo milione di euro l’anno, mentre le proiezioni indicano un calo del 30 per cento e un “buco” di centomila euro. Nessuno si spiega perché». Da qui la decisione di provare con gli scontrini, hai visto mai che i tanti che ogni giorno “se lo dimenticano” possano ripianare il buco. Secondo una fonte anonima del giornalista, la ragione è semplicemente che alla Camera si lavora meno che in passato, dunque le pause caffè notturne sono sparite: «So’ cambiati i tempi – dichiara un commesso –: zero sedute notturne, lavori dal martedì al giovedì. Per il resto qua è il deserto…». Che poi, viene da pensare, con tutto ciò che viene corrisposto ai parlamentari in termini di indennità, diaria, rimborsi spese, ecc., che a tanti non venga in mente di pagare caffè, spremute e quant’altro è piuttosto ridicolo.

Tanto per ripassare, riprendiamo da un articolo di Sergio Rizzo per il Corriere qual è il trattamento riservato ai nostri politici: «I deputati hanno diritto a un’indennità netta di 5.346,54 euro mensili, più una diaria di 3.503,11 e un rimborso per spese di mandato pari a 3.690 euro, oltre a 1.200 euro annui di rimborsi telefonici e da 3.323.70 fino a 3.995.10 euro ogni tre mesi per i trasporti. Oggi ai senatori spetta invece un’indennità mensile netta di 5.304,89 euro, più una diaria di 3.500 euro, più ancora un rimborso per le spese di mandato pari a 4.180 euro, più 1.650 euro al mese di rimborsi forfettari fra telefoni e trasporti. A conti fatti e senza considerare le eventuali indennità di funzione, i componenti del Senato intascano ogni mese 14.634.89 euro contro 13.971,35 dei deputati. Ovvero, 663 euro di più. Differenze da poco, sulle quali però si continua a discutere, anche se questa volta in un clima surreale: la Costituzione sopprime un’indennità che però a quanto pare si ostina a sopravvivere, magari in altre forme». La soppressione a cui fa riferimento Rizzo è quella dell’indennità dei senatori che, se dovesse avere esito positivo la riforma costituzionale attualmente in itinere, dovrebbero in futuro prestare la propria attività gratuitamente, “accontentandosi” di quanto comunque continueranno a percepire dai consigli regionali da cui provengono (una cifra che varia da regione a regione, fino a un massimo di 11.100 euro al mese). Camera e Senato hanno un alto grado di indipendenza nel dettare le proprie regole di funzionamento, dunque si stanno già attrezzando per aggirare il limite imposto.

Da qualche tempo circola infatti un documento che fa riferimento a un processo di “armonizzazione” (parola chiave) tra la figura dei deputati e quella dei senatori. Al suo interno, tra l’altro, si dice: «Con riferimento allo status dei parlamentari occorre procedere all’armonizzazione delle discipline vigenti presso i due rami del Parlamento circa le competenze spettanti ai deputati e ai senatori, in carica e cassati dal mandato, nonché ai loro aventi diritto, anche alla luce delle prospettive della riforma costituzionale in itinere». Indennità e rimborsi sono dunque già probabilmente in salvo, mentre nel frattempo si è provveduto a mettere al sicuro anche gli stipendi dei funzionari pubblici, che oggi subiscono l’intollerabile tetto dei 240mila euro all’anno voluto dal governo. «Una sentenza del “collegio d’appello”, come si chiama l’organo interno a Montecitorio competente a giudicare i ricorsi in materia di lavoro – si legge in un altro articolo di Rizzo –. Sfornata calda calda martedì 22 dicembre, stabilisce che il tetto dei 240mila euro alle retribuzioni pagate dallo Stato avrà per i dipendenti della Camera valore esclusivamente temporaneo. Esattamente, fino al 31 dicembre del 2017. Dopo di che liberi tutti». Una solerzia che conosciamo bene nei nostri politici, quando c’è da salvare i privilegi. Sarà il profumo dei soldi? Macché, siamo noi a pensare male, la colpa è certamente di tutti quei caffè.

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