Ultimo post prima del 5 marzo, quando sarà tempo di analisi politiche, dichiarazioni, ammissioni di sconfitta (poche), proclamazioni di vittoria (quasi tutti). Ma come al solito ci sarà una poltrona vuota tra quelle destinate alle persone da intervistare nei giorni successivi al voto: quella del segretario del partito dell’astensionismo. In tanti cercheranno di parlare a suo nome, nel tentativo di farsi rappresentanti di un movimento che non ha colore, non ha volto, e le cui “intenzioni di non-voto” sono molto difficili da interpretare. Ognuno darà la propria interpretazione sulle centinaia di migliaia di schede elettorali che finiranno al macero, perché non utilizzate da tanti aventi diritto.

Quest’anno, con mezza Itala paralizzata per il maltempo, si potrà dare la colpa al meteo («Nevica, governo ladro!»). In realtà per il 4 marzo le previsioni sono buone, ma per tanti cittadini che non vivono nella città in cui hanno la residenza potrebbe comunque essere impossibile organizzare il rientro. Tralasciando il meteo, qualcuno darà la colpa dell’astensionismo al governo uscente, qualcun altro alla scarsità di proposte, qualcun altro dirà che si fa carico del problema e «da oggi in poi ci impegneremo per riavvicinare gli italiani alla politica». Intanto sarebbe interessante che avvenisse il contrario.

Questa campagna elettorale, tra le altre cose, si chiude senza che ci sia stato nemmeno un confronto diretto in televisione tra i principali candidati. Considerando che la televisione in Italia rappresenta ancora il principale strumento con cui la maggior parte degli italiani si informa e basa le proprie opinioni, sarebbe stato utile (come si è fatto in passato) riunire in uno stesso studio le personalità più in vista e stimolare un confronto.

Come si può vedere dai due grafici (che abbiamo preso da qui), l’astensionismo è cresciuto costantemente dal 1948, e ha sfondato per la prima volta la soglia del 20 per cento nel 2008 per quanto riguarda il Senato, nel 2013 per la Camera. Non sappiamo esattamente cosa aspettarci a questo giro, ma ci sono motivi per credere che la tendenza non si invertirà, e questo dovrebbe essere fonte di preoccupazione per tutti. Se è vero che in democrazia non dovrebbe essere il voto l’unico momento di partecipazione popolare, che dovrebbe invece svilupparsi in un continuo dialogo tra cittadini e politica, è altrettanto grave il fatto che molti cittadini decidano di mancare il momento che più di tutti concretizza tale partecipazione.

L’andamento dell’astensionismo in Italia si deve anche a fattori contingenti che hanno probabilmente influenzato il comportamento degli elettori mentre vivevano tali eventi. «Il successo del referendum sul divorzio del 1972 ha ridotto il numero di coloro che scelsero di non votare (si legge su italiani.coop), l’impegno civile e le battaglie progressiste spingevano alle urne con più efficacia sia i sostenitori che gli oppositori (fenomeno la cui scia è arrivata anche alle elezioni del 1976). I successivi anni di piombo invece, per la prima volta nella storia della Repubblica, hanno allontanato sensibilmente gli elettori dal voto: proprio nel 1979 è stata la prima volta che l’astensionismo ha sfiorato il 10 per cento e da quell’anno in poi salì sopra il 10 per cento senza scendere mai più al di sotto della doppia cifra. Ma è dagli anni ’80 ad oggi che l’astensione ha subito la crescita più grande raddoppiando addirittura nel trentennio. […] Negli anni 2000 il passaggio dal proporzionale al maggioritario ha semplificato le azioni di voto e quindi sono diminuite sensibilmente le schede bianche e le nulle anche se il numero di chi non è andato a votare non è calato. ? dalle elezioni del 2006 invece che sembra che le nuove generazioni disertino il voto con l’astensionismo della Camera che, per la prima volta nella storia della Repubblica, diviene più alto di quello del Senato».

L’ultimo sondaggio disponibile, realizzato da Demopolis a 30 giorni dal voto, parlava di 17 milioni di potenziali non votanti (di cui 13 milioni si dicono «determinati a non recarsi alle urne»). Se così sarà, si tratterà di un messaggio che non si potrà più ignorare. Ma proprio perché, come scrivevamo in apertura, un segretario del partito del non-voto non esiste, non sapremo mai come decodificare tale messaggio. Sarebbe bello che ci si provasse però, e non solo il 5 marzo o al massimo nei due giorni successivi, ma almeno fino alla prossima tornata elettorale.

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