L’11 aprile, il governo ha presentato il nuovo Def (Documento di economia e finanza). È lo strumento con cui i governi espongono il proprio programma in termini di economia e finanza, su un arco temporale triennale. Si tratta dunque di un documento di grande importanza per capire l’indirizzo dell’esecutivo su un orizzonte di medio termine. Eppure, da quando è stato presentato, le informazioni in merito risultano piuttosto vaghe e si parla continuamente di misure correttive che dovrebbero modificare i contenuti del Def. In sostanza, quindi, non si è capito bene quanto prendere sul serio quanto è scritto nel documento e quanto annunciato nel corso della conferenza stampa di presentazione.

Su Sbilanciamoci.info, Giulio Marcon fa notare che le stime del governo sul rapporto deficit-pil sono molto diverse da quelle calcolate dalla Commissione europea: «Il governo prevede per il 2018 un rapporto deficit-pil all’1,2 per cento, mentre la Commissione Europea al 2,5 per cento. Chi ha ragione? La Commissione Europea, perché vi ha già calcolato i soldi (da trovare: sarà complicato) necessari per sterilizzare le clausole di salvaguardia (19,6 miliardi)».

Nel Documento di economia e finanza è contenuta anche una revisione della previsione di crescita del Pil 2017, stimata all’1,1 per cento invece dello 0,9. Non sappiamo bene in base a quali dati si sia fatta questa correzione, nella parte introduttiva del Def si assicura però che «Diverse evidenze testimoniano il recupero di capacità competitiva dell’economia italiana». Sempre secondo previsioni i cui dettagli non sono noti, la crescita del Pil dovrebbe poi subire un calo nel biennio 2018-2019, per poi conoscere «un’impennata» nel 2020 (parole del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan).

Tra le altre notizie diffuse, «Il governo ha parlato di aumentare le accise sui tabacchi, che porteranno a un aumento nel prezzo delle sigarette, e di una ulteriore tassazione del gioco d’azzardo. Si parla anche di circa 600 milioni di euro di tagli alla spesa, di cui 250 a carico dei ministeri, ma non ci sono altri dettagli su questo punto».

A mettere in evidenza il fatto che qualcosa non torni in questo Def, ci ha pensato Thomas Manfredi (giornalista ed esperto di statistica economica) su Strade. In particolare, Manfredi si è concentrato su una tabella che compare a pagina 61 del documento, in cui si elencano una serie di misure (contenimento della spesa pubblica e tassazione, efficienza amministrativa, infrastrutture e sviluppo, ecc.) con l’indicazione, anno per anno (fino al 2020) delle maggiori o minori spese e delle maggiori o minori entrate. Ciò che manca, fa notare Manfredi, sono i totali, ossia gli effetti netti finanziari dei vari capitoli di spesa cumulati al 2020. Così ci ha pensato lui, per capire se le misure previste per il prossimo triennio hanno come proiezione una ricaduta positiva o negativa sul bilancio dello Stato. «Il ragioniere, armato di pazienza e di un foglio di calcolo basilare, fa perciò i suoi conti. Non essendo pregiudizievole, inoltre, elimina il capitolo delle riforme sugli investimenti, perché sa che i ritorni attesi finanziari potrebbe estendersi oltre il 2020. Per brevità il ragioniere non aggiusta i flussi per il valore atteso, non li sconta per alcun tasso di interesse. È un ragioniere con poco tempo, ma che si fida del fatto che non cambierebbe molto, dati i totali riportati».

Fatti i dovuti conteggi, si scopre che il totale delle spese previste ammonta a 62 miliardi di euro, mentre il totale delle entrate a 29 miliardi, con un impatto totale sul fabbisogno negativo per 32 miliardi di euro. Ciò vuol dire che il governo prevede da qui ai prossimi anni di aumentare di molto il deficit della pubblica amministrazione, il che avrà ricadute molto concrete sulle prossime finanziarie, visto che le maggiori spese, in qualche modo, vanno coperte. Certo, bisogna considerare eventuali effetti virtuosi innescati dalle maggiori spese nel medio periodo, ma è difficile avere fiducia in una vaga prospettiva, quando la storia recente ci ha insegnato che le cose di solito vanno diversamente. Lasciamo a Manfredi la conclusione in merito: «L’esperienza passata, che racconta di uno stato dedito alla spese allegre, a incentivi a pioggia, a salvataggi bancari e non (si pensi a Alitalia) di dubbia efficacia porta necessariamente a essere conservativi nelle stime, realisti, scettici, o qualsiasi altra definizione venga in mente, insomma».

Fonte foto: governo.it