Negli ultimi anni si sono moltiplicati i dispositivi che permettono di raccogliere ogni tipo di dato sul proprio corpo: livelli di glucosio, ore di sonno, contapassi, cardiofrequenzimetri. Dagli orologi ai bracciali, agli anelli e alle fasce toraciche, sono numerosi gli oggetti dotati di sensori che, collegati a opportune app di raccolta e catalogazione dei dati, possono dare un’idea di scientificità alle nostre attività quotidiane.
Uno degli usi più popolari di questi dispositivi è l’esercizio fisico. La speranza è che, avendo un maggiore controllo sui propri dati di movimento, si sia più motivati a infilare le scarpette da corsa e uscire di casa, vincendo la pigrizia.
Un articolo sul New York Times ha provato a indagare questo fenomeno, chiedendosi se tali tecnologie aiutino davvero a dare motivazione e a massimizzare i benefici dell’allenamento.
Innanzitutto, bisogna considerare che non tutti i dati raccolti hanno la stessa qualità e rilevanza, nonostante ciò che affermano i produttori dei dispositivi indossabili.
Ad esempio, scrive il Times, una misura utile per gli atleti è il VO2 max, la quantità massima di ossigeno che il corpo può utilizzare durante un esercizio fisico intenso. Questo numero viene solitamente determinato in laboratorio esercitandosi a varie intensità, mentre si indossa una maschera che registra il consumo di ossigeno e la produzione di CO2. I dispositivi indossabili, tuttavia, affermano di dedurre questo numero utilizzando un’equazione basata sulla frequenza cardiaca, che dovrebbe essere presa con le molle, secondo gli esperti.
La vera sfida è dunque trovare il tipo di informazioni più utili e affidabili, e determinare la frequenza con cui è necessario farvi riferimento. Per i professionisti e per coloro che sono alle prime armi con l’allenamento, vale sempre il principio less is more.
Secondo gli esperti sentiti dal Times, infatti, entrambe queste categorie di atleti usano i dispositivi in modo simile, ossia ponendo fin troppa attenzione a tipologie di dati sempre nuove, che finiscono per essere fonti di distrazione, piuttosto che di aiuto.
Per chi si avvicina alla corsa, per esempio, è più importante imparare ad ascoltare i segnali del proprio corpo – stanchezza, dolori, livelli di energia – piuttosto che tenere traccia del passo o della frequenza cardiaca.
Sono invece gli atleti di fascia media, come runner e ciclisti che cercano di battere i propri record personali o di raggiungere un nuovo obiettivo, a trarre i maggiori benefici dai dispositivi indossabili. Se si vuole correre una maratona in minor tempo provando a moderare il ritmo in base alle “zone” di frequenza cardiaca, ad esempio, un wearable (indossabile) può aiutare a farlo. Anche i ciclisti che pianificano l’allenamento in base alle power zone potrebbero utilizzare un tracker.
Se invece si sta solo cercando di uscire di casa più spesso, la raccolta di dati probabilmente non è necessaria. A volte può bastare un diverso tipo di dispositivo da attaccare al polso per muoversi di più, per esempio un guinzaglio con cui portare ogni giorno il proprio cane a fare una passeggiata.
(Foto di Blocks Fletcher su Unsplash)
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