Ancora oggi a Milano si sente usare l’espressione «lungo come la Fabbrica del Duomo» per indicare un lavoro interminabile, perennemente “quasi completo”, ma in cui spunta immancabilmente qualcos’altro da fare e allora si continua, senza affanno ma senza sosta. Questo perché la Veneranda Fabbrica ha aperto nel 1387, e non ha mai chiuso, visto che la grande basilica meneghina ha sempre bisogno di manutenzione, pulizia, ristrutturazione. Ben diverso è il caso del Ponte sullo Stretto, la cui azienda concessionaria, Stretto di Messina spa, ha aperto nel 1981, finora è costata 383 milioni di euro, ma dopo 32 anni non ha ancora assolto alla sua funzione di «progettazione, realizzazione ed esercizio dell’attraversamento stabile stradale e ferroviario tra la Sicilia e il Continente». La differenza tra i due casi è evidente: a Milano il lavoro incede, magari lentamente, meticolosamente, forse troppo, ma procede; tra Messina e Reggio, l’unica campata che si vede è l’idea del ponte, che dopo tanti anni resta, ancora, campata per aria. Prima o poi entrerà forse nel linguaggio comune anche il Ponte, con una sfumatura leggermente diversa però, per indicare l’intangibilità di un concetto, o l’idea di un progetto ambizioso ma che si sa fin da subito inconcludente: «Ho deciso, lascio il lavoro, mi trasferisco in campagna e mi metto a produrre vino». «Sei sicuro? Fai pure, ma conoscendoti questa impresa sarà un Ponte sullo Stretto». Tanto per fare un esempio verosimile e futuribile.
La storia del Ponte l’abbiamo sentita fin troppe volte, ma un buon ripasso (con qualche sorpresa) si può fare leggendo questo articolo scritto da Sergio Rizzo per il Corriere della sera. Dalle sue righe si scopre che, oltre ai soldi spesi per tenere in vita la società, c’è in ballo una causa milionaria per il risarcimento in caso di mancata realizzazione dell’opera: «Il consorzio Eurolink, general contractor dell’opera guidato dalla italiana Impregilo, ha già invocato un risarcimento danni di 700 milioni più gli interessi». Il governo di Mario Monti aveva cercato di defilarsi dalla realizzazione dell’opera, congelando tutto, ma poi è stato costretto a cercare un’altra soluzione: «Il 2 novembre 2012, ricorrenza dei morti, spunta un decreto che ridefinisce il percorso di approvazione dell’opera, stabilendo che entro il primo marzo 2013 il general contractor sottoscriva un altro cosiddetto “atto aggiuntivo” impegnandosi con quello a rinunciare agli adeguamenti economici legati all’inflazione fino alla delibera definitiva del Cipe e anche a eventuali risarcimenti nel caso in cui l’opera venga cassata. Con lo Stato pronto a riconoscere, in caso di mancata firma, soltanto i costi progettuali maggiorati del 10 per cento. Il 12 novembre Eurolink contesta per iscritto la legittimità del decreto, comunicando di voler recedere dal contratto».
Realizzare o meno quest’opera è diventato quasi indifferente a livello di costi da sostenere, grazie ai tentennamenti, ripensamenti e colpi di coda dei numerosi governi che si sono succeduti nel corso degli anni. La ricerca scientifica ha però fatto una scoperta che suona come un’ulteriore beffa ai danni della credibilità dei nostri politici, ossia che 20mila anni fa il Ponte sullo Stretto esisteva. Non che i nostri predecessori homo sapiens avessero abilità e conoscenze ingegneristiche tali da realizzare già allora la grande opera, ovviamente. Si è scoperto però che tra i 27mila e i 17mila anni fa il mare si sarebbe abbassato fino a creare un collegamento tra Calabria e Sicilia, realizzando un ponte naturale. Forse siamo ancora fermi lì, ed è questa l’unica soluzione per fare sì che lo Stretto abbia il suo Ponte: aspettare che torni la bassa marea. Non costa nulla, bisogna solo aspettare qualche migliaio -se va male milione- di anni, quando di nuovo affiorerà una lingua di terra e la Sicilia sarà a tutti gli effetti collegata al continente.