Giusto qualche giorno fa parlavamo dell’importanza della cultura in Italia. Torniamo a farlo per denunciare l’ulteriore taglio di 27 milioni al Fondo unico per lo spettacolo (Fus), avvenuto il 9 marzo. In uno degli articoli della legge di Stabilità (l. 220/2010), relativo alla vendita dei diritti d’uso delle frequenze per la banda larga, si stabilisce che quella cifra resta congelata e quindi di fatto viene sottratta al Fus, nel caso in cui dalla concessione delle licenze si ricavasse meno del previsto.
Un passo avanti, due passi indietro. Per dare garanzie a un’operazione fondamentale per restare “connessi” a ciò che succede negli altri Paesi – sviluppare la diffusione della banda larga su tutto il territorio – si va a rosicchiare un fondo che dai 457 milioni del 2009 era già sceso drammaticamente a 258 milioni e ora precipita a 231. Il miliardo e mezzo a cui ammontava nel 2000 è un vago ricordo.
«Siamo sgomenti e interdetti». No, non è il commento unanime degli operatori della cultura. Molto peggio: sono le parole del ministro dei Beni culturali Sandro Bondi – la cui lettera di dimissioni giace da settimane sul tavolo della presidenza del Consiglio, in attesa di essere accolta o respinta, o forse addirittura letta. Questo è forse il dato più preoccupante, al di là delle opinioni sul politico e sulle sue capacità: lo svuotamento di un Ministero che dovrebbe essere il più importante in Italia, e invece è controllato di fatto da quello dell’Economia, e cioè Giulio Tremonti. «Si tratta – ha aggiunto Bondi – di un altro colpo alle risorse destinate alla cultura, che è difficile da spiegare e ancor più da accettare». L’espressione più evidente di una decisione calata dall’alto, presa senza consultare il ministero di competenza, e peggio ancora senza nemmeno spiegare il perché del provvedimento. Sarebbe bello potersi confrontare in modo diverso su questo argomento. Ogni anno il ministero decide in che percentuali destinare i soldi del Fondo ai diversi settori della cultura. Vorremmo vivere in un Paese in cui il confronto avvenga su questo; in cui ci si possa interrogare sull’opportunità di versare quasi la metà del Fondo agli enti lirici (47,5%), e solo il 13,7% (dati 2010) alle altre attività musicali. Invece siamo qui a capire come la cultura possa sopravvivere in una situazione di emergenza che persiste e si aggrava.