Chi parla di lavoro, supporto all’occupazione, credito alle imprese, in una parola di spingere l’economia verso la crescita, dovrebbe prima preoccuparsi di non essere d’intralcio a quest’ultima. È risaputo infatti, ma la questione va progressivamente aggravandosi, che la pubblica amministrazione è l’incubo dei creditori. Come scriveva il Sole 24 Ore alcuni giorni fa, Stato, province e comuni non hanno mai brillato per puntualità nei pagamenti, ma «chi lavora con gli enti territoriali si è visto riconoscere nel 2012 il 31 per cento in meno dei pagamenti rispetto a quattro anni fa». Proprio comuni e province sono gli enti più in difficoltà: «i pagamenti in conto capitale dei sindaci sono crollati rispetto al 2008 del 36 per cento (con una flessione del 13,8 per cento concentrata nell’ultimo anno), e per le Province il barometro segna addirittura -44,4 per cento (-19,3 per cento tra 2011 e 2012)». Visti così, come tutti i numeri, dicono poco, ma per molte aziende un dato del genere può voler dire chiusura.

In tutto, lo studio del Sole (realizzato con Bureau Van Dijk-Aida Pa e Corte dei conti) individua in 140 miliardi di euro di «residui passivi» questo enorme debito nascosto. Si tratta infatti di impegni di spesa non tradotti in versamenti effettivi. Stiamo parlando quindi di 140 miliardi che a tutti gli effetti dovrebbero andare a sommarsi all’enorme voce del debito pubblico italiano, e invece al momento restano in sospeso sulla testa di migliaia di imprenditori. Tra l’altro, 100 di quei miliardi sono in attesa di uscire da oltre un anno. Tre i meccanismi che secondo gli autori hanno innescato questa situazione: «Patto di stabilità, difficoltà crescenti di cassa degli enti territoriali (anche per effetto dei tagli lineari a ripetizione) e scarsa capacità di programmazione delle spese». In pratica una cascata di incompetenze politiche, visto che le politiche di tagli lineari e il patto di stabilità sono conseguenza delle leggi approvate in questi ultimi anni, e l’incapacità di programmare le uscite è da ascrivere a chi gestisce gli enti pubblici, quindi un’altra fetta di classe politica. A tutto ciò va aggiunta una crisi economica che non facilita certo le cose, soprattutto se chi sta al posto di comando non ha le idee ben chiare su cosa fare.

Ci permettiamo di parlare di politica nonostante le urne aperte, perché le nostre osservazioni sono sempre applicabili in maniera trasversale a tutte le forze in competizione. Ognuna di esse ha infatti espresso in queste settimane la propria formula (talvolta “magica”) per dare all’economia e al lavoro una spinta verso la ripresa e lo sviluppo, ma senza mai citare questi dati sui mancati pagamenti. Sarebbe bello che ancora prima di decidere se e quanto lo Stato debba intervenire a supporto del mercato, si facesse in modo che esso si comportasse in maniera normale nelle transazioni. “Liberare” quei 140 miliardi è un’impresa titanica ormai, ma la colpa sta nel fatto di aver lasciato che nel corso degli anni la cifra continuasse ad aumentare. Una pubblica amministrazione che non può pagare i debiti è una pubblica amministrazione che non può investire. Senza investimenti non si crea innovazione, non si migliorano i servizi, non si creano opportunità per il territorio e per i cittadini. Non vengano a raccontarcela, prima di farci sottoscrivere altre cambiali, inizino a versare quanto dovuto.