di Daniela Marchitto

scuola
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Chi naviga nel mondo dell’istruzione è senz’altro al corrente delle parole d’ordine lanciate dal governo Renzi riguardo al nuovo modo di pensare la scuola: questa sarà “buona” per definizione e “meritocratica” nel funzionamento. Niente di meglio, verrebbe da dire. Ma quanto, da uno a dieci, è buona la “buona scuola”? E per calcolare il merito, quale algoritmo adottare? Nei secoli non sono mancati i tentativi, da parte di numerosi filosofi, di determinare il valore qualitativo delle azioni virtuose, della felicità, della giustizia, tramite un preciso calcolo quantitativo (preparatevi!).

Lo scozzese Francis Hutcheson, ad esempio, sosteneva che l’importanza morale di un agente fosse composta dalla sua benevolenza (o virtù) moltiplicata per la sua capacità (intesa anche come disponibilità economica): M = BxC (dove M = Momento di bene, B = Benevolenza, C = Capacità), e di conseguenza che, a parità di benevolenza, il “momento di bene” fosse direttamente proporzionale alla capacità dell’individuo: M = Cx1. Analogamente, a parità di capacità personali tra due soggetti, la quantità di bene prodotto sarà proporzionale alla bontà dei loro caratteri, e così via con i calcoli. Sulla stessa linea, i cosiddetti “utilitaristi” Jeremy Bentham e John Stuart Mill, svilupparono una vera e propria algebra morale sintetizzabile nel noto motto benthamiano secondo cui la giustizia corrisponde al “massimo della felicità per il massimo numero di persone”. Senza bisogno di entrare ulteriormente nei dettagli storico-filosofici della faccenda, è sorprendente scoprire un (parziale) recupero di queste dottrine negli attuali programmi di governo. Ha suscitato non poca ilarità uno scambio di lettere (qui trovate la lettera aperta, qui la risposta) uscito recentemente su La Stampa relativo ai nuovi criteri (meritocratici) per ottenere fondi pubblici per lo spettacolo dal vivo. Il calcolo valutativo del merito consisteva in una formula discretamente lunga e complessa (tutto fratto quaranta), che l’autore della lettera definisce prodotto di “una metafisica da Azzeccagarbugli crudele”.

Tornando invece al mondo della scuola, vediamo cosa succede: gli “scatti stipendiali” previsti per i docenti “più meritevoli” (a dirla tutta, non contemplati per il massimo numero di essi, ma per i due terzi dell’organico) si baseranno infatti sull’accumulo di crediti didattici, formativi e professionali. Con i primi si misurerà la qualità dell’insegnamento attraverso il miglioramento del livello di apprendimento degli studenti (normalmente definito con un voto, su una scala numerica espressa in decimi), i secondi si potranno invece raccogliere tramite specifici corsi di formazione accreditati, indipendentemente dalla loro qualità (del resto, in che modo individuarla?). I crediti professionali, infine, saranno quelli assunti all’interno delle singole scuole per la promozione delle attività ordinarie e progettuali. I crediti raccolti si potranno così inserire in un apposito “portfolio online pubblico”, che dà diritto ogni tre anni, al 66 per cento dei docenti di una scuola (o di una rete di scuole), a uno scatto di retribuzione. Per dirla con Hutcheson, se D = Docente e C = Crediti, ecco pronta l’equazione della “buona scuola”: DxC = €.