Dal 18 gennaio, il problema delle fake news in Italia è diventato una questione di polizia. È stato infatti presentato dal ministro dell’Interno Marco Minniti e dalla polizia di stato il “red button” per la segnalazione di notizie false, con apposito form sul sito di quest’ultima. Per quanto le intenzioni siano certamente buone, l’iniziativa racconta come nel nostro Paese non si sia compreso pienamente il fenomeno.
Il fatto di delegare al controllo istituzionale la veridicità o meno di una notizia va pericolosamente verso la sostanziale applicazione di un meccanismo di autorizzazione della stampa, che la nostra Costituzione rifiuta (articolo 21, secondo comma: «La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure»). Ribadiamo: siamo certi che le intenzioni di chi ha messo in funzione questo strumento siano buone e tese alla correttezza della sfera informativa. È però altrettanto certo che si gettano le basi affinché il principio affermato dall’articolo 21 sia, in un ipotetico futuro, forzato e magari abbattuto. Cosa succederebbe per esempio se, nel caso di una notizia segnalata alle autorità come fake, ne fosse prevista la rimozione finché la fase di verifica da parte delle autorità non porti a un giudizio di veridicità o falsità?
Al momento siamo molto lontani da questa ipotesi, visto che l’intervento delle autorità, così come spiegato nel comunicato di presentazione, risulta piuttosto vago: «La notizia, in particolare, verrà presa in carico da un team dedicato di esperti del CNAIPIC [Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche] che, in tempo reale, 24 ore su 24, effettuerà approfondite analisi, attraverso l’impiego di tecniche e software specifici per l’OSINT [Open Source INTelligence] in rete, al fine di individuare la presenza di significativi indicatori che permettano di qualificare, con la massima certezza consentita, la notizia come fake news (presenza di smentite ufficiali, falsità del contenuto già comprovata da fonti obiettive; provenienza della presunta fake da fonti non accreditate o certificate etc.). Tale speciale team curerà altresì un’autonoma attività di raccolta informativa, al fine di individuare precocemente la diffusione in rete di notizie marcatamente caratterizzate da infondatezza e tendenziosità, ovvero apertamente diffamatorie».
La punizione che si abbatterà sull’estensore della notizia falsa, quando rilevata, si traduce nella semplice menzione sulle piattaforme digitali della polizia: «Sulla scorta degli elementi evidenziati nei report di analisi – qualora sia risultato possibile individuare con esattezza una fake news – sul sito del Commissariato di polizia di stato online e sui canali social istituzionali verrà pubblicata una puntuale smentita».
Come dicevamo all’inizio, è evidente che il fenomeno non è stato pienamente compreso, visto che si concentrano tutte le attenzioni verso le nuove tecnologie («siti internet, blog, social network, piattaforme di instant messaging») quali moltiplicatori della viralità dei messaggi (veri e falsi), mentre non vi è traccia del problema relativo alle notizie false diffuse ogni giorno da giornali e televisioni. Come spesso abbiamo segnalato, a diffondere e moltiplicare le fake news ogni giorno sono, più che le tecnologie, le cattive pratiche giornalistiche adottate nelle redazioni. Da tempo, anche a causa della crisi economica dei giornali, la qualità del giornalismo italiano è in caduta libera e, a fronte di eccezioni che fanno ancora ben sperare, c’è una preoccupante tendenza a riportare notizie senza averle correttamente verificate, e poi a non dare risalto alle correzioni (o non riportarle proprio) nel caso in cui sia dimostrata l’infondatezza di una storia. L’iniziativa del Ministero è volta a proteggere i cittadini da campagne di disinformazione nella delicata fase di campagna elettorale che stiamo vivendo.
Ma quale iniziativa politica può essere credibile, quando spesso sono proprio i politici a mettere in circolo fake news, certi che la ripetizione all’infinito del messaggio sia la migliore strategia per fare breccia nella “pancia” degli elettori (la “testa” ormai interessa a pochi)? Riccardo Luna, sul sito dell’Agi, fa un efficace elenco di esempi di questo tipo, chiedendosi poi quale sia il migliore antidoto alla fake news generata ad arte dalla politica: «Se un politico dice che nessun Paese al mondo prevede dieci vaccini obbligatori come fa l’Italia e non è vero, sta spacciando una notizia falsa? E se dopo che glielo fai notare, la ribadisce, è recidivo? E se una sindacalista dice che abbiamo l’età pensionabile più alta d’Europa e l’orario di lavoro più lungo – falso anche questo – va denunciata alla polizia? Magari assieme all’altro leader che sostiene che in Italia c’è il record di delitti, quando non sono mai stati così pochi? E con quello che proprio ieri ha detto che l’innovazione distrugge posti di lavoro mentre si registra il record storico di occupati in Italia, in Europa e negli Stati Uniti?».
Basterà un “red button” a difenderci da tutto questo? Forse non ci resta che provare a premerlo, e vedere che succede.
(Fonte foto: flickr)