Se avete letto il nostro post sulla possibilità di votare fuori sede, avrete capito che non vi è alcun legittimo impedimento a recarsi alle urne il 12 e 13 giugno. Esatto, la stessa fattispecie di cui parla la scheda verde, quella del quarto quesito. Che detto così può far venire in mente il quarto uomo del calcio (meglio: quarto ufficiale, perché può benissimo trattarsi di una donna), colui che sta a bordo campo a controllare che gli allenatori non escano dalla zona riservato alle loro performance tattiche, che issa il cartello luminoso indicando i minuti di recupero, che richiama i giocatori destinati prematuramente alla doccia indicando chi li sostituirà; e ancora che vigila sul fatto che quest’ultimo non nasconda pericolose armi per l’offesa dell’avversario, tipo catenine d’oro con appeso crocifisso o ritratto della mamma a grandezza naturale. Insomma, nell’economia dell’arbitraggio di una partita di calcio, non certo il più importante dei ruoli. Altrimenti non gli avrebbero riservato il quarto posto.
Ma quarto può essere anche il potere, quello rappresentato da Orson Welles nel suo film d’esordio “Citizen Kane”, tradotto in italiano, appunto, come “Quarto potere”. Il fantasioso adattamento fa riferimento al peso dell’informazione nella vita politica ed economica negli Stati Uniti degli anni Trenta. Un peso enorme, perché in quegli anni nasceva il sistema mediatico -di cui lo scenario attuale è un’evoluzione- in cui il ruolo delle fonti di informazione prendeva coscienza della delicata soglia tra rappresentazione e costruzione della realtà. E qui l’aggettivo ordinale si fa meno trascurabile. Non parla di un potere accessorio, trascurabile, ma di un potere aggiunto, nuovo, in grado di far tremare gli altri tre -e non è un caso che Charles Foster Kane, protagonista del film, sia ricevuto nel corso del film dai capi di Stato delle principali potenze mondiali.
Torniamo al quarto quesito referendario, che è poi anche quarto in senso frazionario, fetta verde di un’ipotetica torta divisa in quattro parti uguali. Innanzitutto, la formula “legge sul legittimo impedimento”, che si chiede ai cittadini di abrogare, è incompleta, perché questo era già previsto dal codice di procedura penale: «L’udienza è rinviata se sussiste un legittimo impedimento dell’imputato che ha manifestato la volontà di comparire» (art. 599, comma 2). Bisognerebbe invece parlare di “legittimo impedimento per le più alte cariche dello Stato”, ossia presidente del Consiglio e ministri. Dettaglio decisivo che mette in gioco con prepotenza l’articolo 3 della Costituzione, che sancisce l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.
Tra i quesiti in campo, il quarto è forse quello che avrà una ricaduta meno tangibile nella vita di tutti i giorni dei cittadini, ma il suo peso nel clima politico del Paese non è da sottovalutare. La norma su cui andremo a votare è diversa da quella in vigore quando sono state raccolte le firme per il referendum. Allora il testo della legge prevedeva che fosse l’imputato a decidere sulla propria impossibilità a presentarsi in tribunale. Dopo la sentenza interpretativa della Corte Costituzionale del 13 gennaio, la decisione è tornata nelle mani del giudice. Un’evidente bocciature delle intenzioni del legislatore. Peraltro, la norma fu approvata in tutta fretta dopo la bocciatura del lodo Alfano da parte della Corte, e le fu assegnata una durata temporanea (scadrà a ottobre) in attesa di una legge costituzionale sulla questione. Insomma, il solito pasticciaccio brutto. Verrebbe da dire “all’italiana”, ma è proprio perché vogliamo prendere le distanze da questa formula, che ci si è appiccicata addosso nel corso degli anni, che il 12 e 13 giugno andremo a esprimere il nostro voto. (Referendum – 4. Fine)