Il caso del Monte dei Paschi di Siena ha portato all’apertura di un dibattito sulla natura delle fondazioni di origine bancaria e a una parziale riforma della loro natura, che non si è però del tutto compiuta. La nascita delle fondazioni risale al processo di privatizzazione del sistema bancario iniziato negli anni ’90, e in particolare alla legge delega Amato-Carli numero 218 del 1990. Questa, spiega Wikipedia, «configura le fondazioni bancarie come holding pubbliche che gestiscono il pacchetto di controllo della banca partecipata ma non possono esercitare attività bancaria; i dividendi sono intesi come reddito strumentale ad un’attività istituzionale (quella indicata nello Statuto), che deve perseguire “fini di interesse pubblico e di utilità sociale”».
Da allora però la loro missione filantropica è stata spesso tradita a causa della resistenza della politica ad abbandonare il proprio ruolo di controllo del sistema bancario. Chiariamoci: grazie alle fondazioni si sono finanziati (e si continuano a finanziare) numerosi progetti che altrimenti non avrebbero mai visto la luce, dunque esse non hanno del tutto rinunciato a perseguire lo scopo per cui sono nate (difficile qui generalizzare, ma in molti casi si è trattato di proseguire l’impegno di supporto del territorio che già perseguiva la banca prima della riforma Amato-Carli). Da un altro punto di vista, però, il loro intreccio con la politica, che se ne è servita (e se ne serve) per controllare l’attività bancaria, ha portato grossi guai al sistema bancario. I casi più eclatanti li abbiamo seguiti sui giornali negli ultimi anni, e la conseguenza spesso è stata l’intervento dello Stato per ripianare con soldi pubblici i debiti contratti dagli istituti.
Il rapporto così stretto tra fondazione e banca di riferimento è anche causa della fragilità finanziaria di questi istituti. Fino a qualche anno fa, molte fondazioni detenevano quote importanti della banca, in alcuni casi (come Mps, almeno fino al 2012) più del 50 per cento delle azioni, proprio per poterla controllare. Ma anche il più inesperto degli investitori sa bene che la diversificazione degli investimenti è un elemento irrinunciabile per evitare di farsi trascinare a picco dal fallimento di un singolo attore del mercato, sul quale si è puntato troppo. È ciò che spiegavano gli economisti Tito Boeri e Luigi Guiso su Lavoce.info nel 2014: «Se la Fondazione Monte Paschi avesse investito il suo patrimonio in un fondo diversificato, come si conviene a una fondazione, anziché usarlo per assicurarsi il controllo e il (pessimo) governo di Mps, oggi avremmo una banca sana in più e una ricca fondazione che poteva servire le esigenze sociali dei senesi per i secoli a venire. Abbiamo invece una banca al tracollo e una fondazione immiserita. Se Fondazione Carige avesse seguito le indicazioni della Legge Ciampi anziché concentrare il 90 per cento del proprio patrimonio in Banca Carige, se non si fosse indebitata pur di non scendere per molti anni sotto il 46 per cento del capitale dell’istituto, oggi avremmo una banca ben capitalizzata, aperta ad accogliere un management moderno anziché vertici imposti dalla fondazione, di stretta nomina politica».
Purtroppo, nel trattare i guai di Mps la stampa non è sempre stata chiara, talvolta insistendo molto su indiscrezioni poi rivelatesi prive di consistenza (per esempio per molto tempo si è parlato di una maxi-tangente, di cui le indagini non hanno trovato traccia). A livello politico, a rimetterci maggiormente è stato il Pd, visto che la città di Siena è da sempre governata dalla sinistra e poi dal centrosinistra, e dunque le manovre compiute negli anni del dissesto si devono a uomini in qualche modo legati a quel partito. In realtà, come si può vedere in questo elenco (aggiornato al 2013), ai vertici delle fondazioni bancarie di tutta Italia ci sono consiglieri espressione di ogni gruppo politico. Uno degli errori fatti con Mps è stato dunque trattarlo troppo come caso isolato, non accorgendosi che intorno c’era tutto un sistema di fondazioni che funziona allo stesso modo, con altri nomi e altre sigle. Certo poi la sciagurata operazione di acquisizione che nel 2007/2008 ha innescato i guai di Mps è molto peculiare e ancora inspiegabile (ma allora fu applaudita da politici di ogni schieramento).
Il dibattito è aperto dunque sul futuro delle fondazioni, anche per quanto riguarda la loro natura filantropica (che dovrebbe essere la principale). Alberto Martini e Barbara Romano, sempre sulle pagine di Lavoce.info, invocano una maggiore disponibilità all’autocritica e all’analisi dell’efficacia dei progetti finanziati dalle fondazioni: «Pur avendo stima per molto del lavoro svolto dalle fondazioni bancarie negli anni, temiamo che questo tipo di investitura in bianco, in un paese sempre alla ricerca di un qualche deus-ex-machina, possa trasformarsi in un boomerang. Soprattutto se si tiene presente che spesso si trascura un’importante considerazione sull’idoneità delle erogazioni delle fondazioni a incidere sui problemi sociali: un tipo particolare di avversione al rischio, che nel caso delle Fob si manifesta come ritrosia ad ammettere di aver finanziato progetti che si sono rivelati un insuccesso. Nei bilanci sociali o di missione delle fondazioni è difficile, se non impossibile, trovare riferimenti a “programmi che non hanno funzionato”, a “soluzioni promettenti poi rivelatesi inefficaci”. Sembra quasi che le fondazioni siano infallibili».
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