Negli ultimi tempi si stanno intensificando i cambi di gruppo parlamentare, sia alla Camera che al Senato. La fine della legislatura si avvicina e molti onorevoli stanno mettendo in pratica strategie di “riposizionamento” in vista delle prossime elezioni. L’obiettivo è indovinare il carro vincente per essere rieletti alla tornata elettorale, poi ci sarà sempre tempo per creare nuovi gruppi e alleanze, una volta in Parlamento. Si stanno intensificando, dicevamo, ma i “cambi di casacca” sono la norma fin dall’inizio della legislatura, che sarà ricordata come una delle più “mobili” della storia repubblicana. «Da inizio legislatura – scrive OpenPolis – alla camera ci sono stati 291 cambi di gruppo, portati a termine da 202 deputati (il 32,06 per cento dell’aula). Al senato invece i cambi sono stati 227, con 133 senatori coinvolti (il 41,46 per cento del totale). Mettendo insieme i due rami, dalle politiche del 2013, ci sono stati 518 cambi di gruppo, per un totale di 335 parlamentari transfughi, il 35,26 per cento degli eletti». Abbiamo già parlato di questo fenomeno nei mesi scorsi (l’ultima volta qui), sottolineando come esso rappresenti un problema nel già delicato rapporto di fiducia tra i cittadini e la politica.

Avere una tale “liquidità” di appartenenza, in teoria, è un punto di forza dei meccanismi democratici, riflettendo la libertà di pensiero dei parlamentari e quindi la loro possibilità di continuare a esercitare il proprio mandato alleandosi via via con chi gli permette di seguire la propria linea. In pratica, i sistemi di alleanza all’interno del Parlamento sono molto più pragmatici e in alcuni periodi, come appunto in questa fase finale di legislatura, sembrano difficilmente giustificabili con obiettivi politici legati al mandato di rappresentanza. Molto più probabile che siano legati alla preoccupazione di ottenere il rinnovo di tale incarico, non appena saranno scaduti i cinque anni.

Finora, in questa legislatura, il sistema di alleanze non è mai stato alla base dei cambi di governo. Enrico Letta è stato destituito dalla “spallata” interna di Matteo Renzi. Quest’ultimo è caduto sul referendum relativo alla riforma costituzionale. Oggi il governo di Paolo Gentiloni, dopo un avvio in sostanziale continuità col predecessore, sembra essere più fragile proprio a causa del venir meno delle alleanze. Un segnale importante è stato la decisione di rinviare all’autunno il testo sulla riforma del diritto di cittadinanza.

Negli ultimi giorni, con le dimissioni di due membri del governo espressione di Ap (il ministro agli Affari regionali Enrico Costa e il sottosegretario al Lavoro Massimo Cassano), la possibilità di dettare l’agenda politica si sta spostando nelle mani delle opposizioni. In particolare, secondo l’analisi di OpenPolis, il governo avrà bisogno soprattutto del sostegno di Forza Italia, che è il partito che più si sta avvantaggiando dalle dinamiche parlamentari. «Nelle prossime settimane, prima della pausa estiva, due disegni di legge già approvati alla camera sono calendarizzati per la discussione in aula al Senato. Parliamo del ddl sul testamento biologico e il ddl concorrenza che se non vorranno fare la stessa fine dello ius soli, la cui discussione è stata rinviata a dopo l’estate, per essere approvati avranno bisogno del benestare di Forza Italia. Benestare che potrà essere o indiretto, con la non partecipazione al voto per abbassare la soglia di maggioranza, o diretto, con il sostegno al provvedimento, come è stato per il decreto vaccini».

In tutto ciò, risulta danneggiata l’attività complessiva del Parlamento, dove molte leggi sono ancora in attesa di essere calendarizzate e molte rischiano di restare “parcheggiate” fino a fine legislatura, per evitare che la maggioranza non riesca ad approvarle, dimostrando di non avere più i numeri per sostenere il governo. L’unica via d’uscita al momento è il ricorso, ormai consolidato e frequente, ai voti di fiducia, che sono stati 14 nei primi sette mesi di governo Gentiloni. Una media simile ai suoi predecessori, ma una percentuale molto alta se rapportata al numero di leggi approvate: «Considerando le 33 leggi votate e pubblicate in Gazzetta ufficiale, il rapporto testi approvati-voti di fiducia è al 42,42 per cento».

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