La disputa tra chi consiglia di seguire le proprie inclinazioni nello strutturare il percorso di studi, e chi invece sottolinea come il mercato abbia esigenze specifiche, e quindi sia bene orientarsi in base a quelle, è sempre aperta e vivace. Il dibattito si è riacceso nei giorni scorsi dopo che il presidente di Confindustria Cuneo, Mauro Gola, ha scritto una lettera aperta alle famiglie cuneesi, nella quale si schiera decisamente nel secondo gruppo: «Servono operai specializzati, tecnici specializzati nei servizi alle aziende, addetti agli impianti e ai macchinari. Il nostro dovere è quello di evidenziarvi questa realtà. Perché queste sono le persone che troveranno subito lavoro una volta terminato il periodo di studi». Il messaggio è chiaro: indirizzate i vostri figli verso le professionalità richieste dal mercato, altrimenti per loro si prospetta un futuro di difficoltà nel trovare il proprio posto nel mondo del lavoro.
Sbagliato quindi dare «importanza ad aspetti emotivi e ideali, piuttosto che all’esame obiettivo della realtà. Quella realtà, tuttavia, che si imporrà in tutta la sua crudezza negli anni in cui il vostro ragazzo cercherà lavoro ed incontrerà le difficoltà che purtroppo toccano i giovani che vogliono inserirsi nel mondo produttivo». È un ragionamento che, nel suo pragmatismo, non fa una piega. Gli aspetti “emotivi e ideali” non andrebbero però presi così alla leggera. È molto difficile, in piena adolescenza, avere le idee chiare su cosa si vorrà essere “da grandi”. Fare un percorso di tipo professionalizzante per diventare in pochi anni tecnico o operaio specializzato è una scelta che garantisce una certa facilità nell’inserirsi nel territorio di cui parla Gola.
Ma attenzione a orientare troppo i giovani verso ciò che il mercato richiede, per vari motivi. Un operaio o un tecnico che non è contento di ciò che fa, perché sognava di proseguire gli studi verso altre direzioni, è innanzitutto una persona infelice. Anche se il tutto funziona a meraviglia a livello di numeri – se si crea una perfetta continuità tra le figure formate dalle scuole e il loro ingresso nelle aziende – può comunque essere una sconfitta per il sistema scolastico e sociale che si è fatto carico di orientare quella scelta. Inoltre, non è detto che le esigenze del territorio di oggi siano anche quelle di domani. Sappiamo bene quanto rapidi siano i cambiamenti economici e quanto interconnessi siano i mercati mondiali.
Se la globalizzazione ci ha insegnato qualcosa, è che il capitale è molto rapido nello spostarsi dove la produzione si fa più conveniente, e in pochi anni il panorama economico e industriale di un territorio può cambiare radicalmente. In quel caso, coloro che hanno optato per un percorso formativo breve e molto specializzato si troveranno in grave difficoltà. Lo studente che segue “emozioni e ideali”, e che magari sceglie di seguire un percorso accademico più strutturato e meno legato alla immediata congiuntura economica, avrà più possibilità di adattarsi ai cambiamenti. Questo perché non avrà imparato, al termine del suo ciclo, solo dei contenuti, ma anche un metodo, un approccio di studio e di apprendimento che gli permetteranno di essere flessibile o, come usa dire adesso, resiliente agli scossoni che solo in parte possiamo prevedere. Il tutto è certamente legato a varie disposizioni dell’individuo. Su tutte, possiamo forse citare la disponibilità a spostarsi.
Se uno si sente intrinsecamente legato al territorio in cui è cresciuto, allora è bene che tenga conto principalmente delle caratteristiche e delle esigenze di quest’ultimo. Se, al contrario, a muoverlo è l’interesse per una data materia, la sua disponibilità a spostarsi dev’essere totale, perché sarà molto difficile, per dire, trovare una borsa di studio per fare ricerca sull’arte bizantina senza muoversi dalla provincia di Cuneo. Alla base di tutta questa faccenda c’è comunque un problema di fondo: è profondamente ingiusto e crudele instillare in un ragazzo o una ragazza di 14 anni l’idea che la scelta che sta per fare sia per la vita. Da un lato c’è un meccanismo scolastico forse da rivedere (altro dibattito perenne), dall’altro il fatto che forse bisogna uscire dall’idea che la scelta delle superiori sia un punto di non ritorno che chiude le porte al fatto di cambiare idea e percorso anche dopo averlo cominciato.
Spesso è vista come una sconfitta e una grande perdita di tempo quella di cambiare istituto dopo avere già cominciato un ciclo di studi. In molti, piuttosto che ammettere che c’è qualcosa che non va, si trascinano fino al diploma, salvo poi pentirsi (anche anni dopo) della scelta. Qual è allora la vera perdita di tempo? Meglio forse concedersi (e concedere ai giovani) la possibilità di ammettere l’errore e ravvedersi, piuttosto che insistere. Il fallimento è un grande momento di crescita e di autocoscienza. Prima lo si affronta, più facile sarà affrontare le sfide della vita.
(Foto di Bradley Wentzel su Unsplash)