La storia di Charlie Gard, il bambino inglese con una malattia terminale morto pochi giorni fa, ha commosso tutto il mondo e ha sollevato interrogativi etici sulla decisione dei medici (confermata dai giudici) di interrompere i trattamenti che lo tenevano in vita artificialmente. L’impossibilità di curarlo era stata decretata dai medici quando il bambino aveva già riportato danni irreversibili, cosa che ha portato le autorità mediche e giuridiche a dissuadere i genitori (per quanto doloroso) dal tentare altre improbabili strade, come una una cura sperimentale (non ancora testata sull’uomo) negli Stati Uniti. Questo caso, solo l’ultimo dei tanti che purtroppo capitano ovunque nel mondo, fa riflettere su quanto sia bene essere prudenti nel trattare l’informazione di carattere scientifico.
Quante volte abbiamo letto titoli su nuove promettenti terapie contro diversi tipi di tumori o varie malattie attualmente non curabili, senza che poi se ne sapesse più nulla? La necessità giornalistica di dare in pasto ai lettori qualcosa di nuovo (e possibilmente sensazionale) ogni giorno fa a pugni con i tempi e le modalità della scienza. Quest’ultima procede per tentativi ed errori, con modalità di osservazione e sperimentazione (e ripetizioni degli studi) che nel tempo possono portare (se va bene) a formulare una nuova verità scientifica.
Come dice Naomi Oreskes, storica della scienza, in un’intervista di Julia Belluz (giornalista scientifica) per Vox (traduzione nostra): «C’è una grande, grandissima differenza tra il modo in cui i media pensano alle news e il modo in cui lo fanno gli scienziati. Per voi, ciò che li rende news è che sono novità – e questo crea una tendenza nei media a cercare risultati scientifici recentissimi. Il mio punto di vista è che i risultati più recenti hanno grandi probabilità di essere sbagliati». Un fenomeno che si verifica molto spesso, soprattutto in campo alimentare, è che un giorno qualcosa fa bene alla salute, mentre il giorno dopo dobbiamo evitarlo come la peste. Pensiamo al vino, al latte, al caffè, alla carne. Un fatto che si può osservare in maniera molto chiara in questo grafico, che mostra una lista di alimenti e il numero di studi che li ritengono buoni o cattivi rispetto alla formazione di tumori. Nessuno dei cibi considerati sta solo da una parte o solo dall’altra, e per molti non è nemmeno facile individuare una particolare tendenza pro o contro.
La conseguenza è una grande confusione per il lettore/consumatore, al quale normalmente mancano le competenze per accedere direttamente alle fonti scientifiche e farsi un’idea delle modalità con cui sono stati ottenuti i dati. In un altro articolo di Julia Belluz e Steve Hoffman per Vox è riportata un’utile classificazione che può aiutare a farsi strada in questa grande confusione. Vengono elencati cinque punti fondamentali da tenere presenti per valutare la solidità delle conclusioni di uno studio. Ne pubblichiamo una sintesi, affinché anche voi possiate farvi un’idea più precisa la prossima volta che leggerete dell’ultima cura miracolosa che sconfigge qualsiasi malattia (alcuni termini li manteniamo in inglese per evitare traduzioni maldestre, ma il significato è piuttosto intuitivo).
1) La maggior parte delle ricerche sulla salute si divide in due tipi: quelle basate sull’osservazione e quelle sperimentali. Quelle sperimentali sono più affidabili delle prime perché, spiegano i due giornalisti: «Negli studi fondati sull’osservazione, gli scienziati raccolgono dati su un fenomeno che sta già accadendo: andamento nel consumo di olio, chi tende a prendere integratori vitaminici, quanti fanno esercizio fisico, ecc. Ma non intervengono in alcun modo per introdurre cambiamenti nella vita delle persone. […] Con la ricerca sperimentale, al contrario, gli scienziati intervengono, o comunque utilizzano metodi statistici per simulare un intervento.
2) Ci sono quattro tipi di studi basati sull’osservazione. Li elenchiamo in ordine dal più al meno affidabile. Cohort studies: sono indagini che tracciano i dati di uno stesso gruppo di persone per un lungo periodo di tempo. Case-control studies: partono da una situazione data e cercano di risalire indietro nel tempo alle cause che possono aver portato a quei risultati. Per esempio possono prendere in considerazione persone con caratteristiche simili, che vivono in uno stesso luogo, e capire come mai alcuni di essi sviluppano problemi cardiovascolari e altri no. Cross-sectional surveys: effettuano un’indagine su un campione casuale e registrano informazioni su di loro in quel dato momento. Case reports: sono storie dettagliate su singoli casi. Nonostante siano i più deboli tra le varie tipologie di studi, possono essere molto utili nel caso di malattie rare.
3) Gli studi basati sull’osservazione hanno dei limiti che vanno capiti. Da un singolo studio di questo tipo, i ricercatori sono in grado solo di suggerire che un’associazione (ad esempio) tra il consumo di grassi e il verificarsi di attacchi cardiaci – non che l’uno abbia causato l’altro.
4) Ci sono due tipi di ricerche sperimentali (anche qui in ordine dalle più alle meno affidabili). Randomized controlled trials: si propongono di trovare relazioni di causa-effetto e sono dunque lo strumento di ricerca più “potente” a disposizione. La randomizzazione implica che si individuino due gruppi comparabili, e l’unica differenza tra i due è l’intervento o meno da parte dei ricercatori (per esempio la somministrazione di un farmaco). Il fatto di condurli in modalità double-blind (in cui né il paziente né lo scienziato sanno se stanno assumendo/somministrando il farmaco o il placebo) rende ancora più sicuro il fatto che le differenze riscontrate siano attribuibili direttamente al farmaco. Quasi-experiment: sono ricerche a metà tra la sperimentazione e l’osservazione e usano la statistica e alcuni espedienti per simulare condizioni sperimentali.
5) La regina di tutte le prove: la revisione sistematica.
Si tratta di articoli che prendono in considerazione decine (talvolta centinaia) di osservazioni ed esperimenti effettuati nel tempo su uno stesso argomento, li mettono a confronto e ricostruiscono il puzzle per arrivare a definire una o più conclusioni in modo certo, o quasi.
Per una sintesi potete affidarvi a questo schema.
Come si può vedere, le cose sono ben più complesse di come le esigenze dei media vogliano farle apparire. Talvolta il coinvolgimento emotivo in una certa vicenda può farci allontanare dalla razionalità e cedere alla debolezza di affidarci a qualsiasi news nella speranza di risolvere un problema. Avere strumenti più solidi di lettura della realtà è il modo migliore per non rimanere intrappolati in queste dinamiche, e affrontare la complessità con le lenti giuste.
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