«I giudici di appello di Milano respingono la tesi della presidenza del Consiglio dei ministri che il requisito di cittadinanza italiana sarebbe necessario in quanto il Servizio civile nazionale (Scn) avrebbe fondamento nei principi costituzionali di difesa della Patria di cui all’articolo 52 della Costituzione. Secondo i giudici di appello, le finalità descritte dalla legge istitutiva del Scn, una volta che tale servizio non è più qualificabile come sostitutivo del servizio militare obbligatorio, non possono essere in alcun modo collegate alla nozione di difesa della patria, quanto al principio dei doveri reciproci di solidarietà sociale di cui all’articolo 2 della Costituzione. I giudici sottolineano che l’adempimento a tali doveri di solidarietà e di concorso al progresso materiale e spirituale della società deve accomunare tutta la comunità dei residenti, e non solo quella dei cittadini in senso stretto. Ne consegue pertanto l’irragionevolezza dell’esclusione dei giovani stranieri dall’istituto del Servizio civile nazionale».

Queste, in sintesi, le motivazioni della Corte di appello di Milano sul caso che ha portato all’apertura del servizio civile nazionale anche ai giovani stranieri residenti in Italia. Si tratta di un estratto della nota diffusa dall’Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione) in seguito alla pubblicazione del documento della Corte in merito alla sentenza del 20 dicembre 2012, con la quale è stato respinto il ricorso della presidenza del consiglio. Del caso parlammo ampiamente su queste pagine un anno fa, quando il giudice del lavoro di Milano accolse il ricorso di un ragazzo pachistano, Shahzad Sayed, da 15 anni residente in Italia, cui era stata negata la possibilità di prestare servizio proprio per la sua nazionalità. Il bando a cui il ragazzo si candidò (pubblicato da Caritas Ambrosiana) fu ritenuto discriminatorio, e il giudice ordinò alla presidenza del consiglio dei ministri-Ufficio nazionale per il servizio civile di sospendere le procedure di selezione e di modificare il bando, consentendo l’accesso anche agli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia e di fissare un nuovo termine per le domande.

Da qui il rischio di possibile blocco delle partenze in quanto il carattere discriminatorio avrebbe riguardato tutti i bandi già pubblicati allora, poi l’uscita dall’impasse con la richiesta di non retroattività della sentenza. La corte d’appello confermò la decisione del giudice dopo il ricorso del governo, e nei giorni scorsi sono state depositate le motivazioni, che avete letto in apertura. D’ora in avanti, quindi, il servizio civile nazionale in Italia è aperto anche agli stranieri residenti, almeno in teoria. Dopo l’interpretazione dei giudici, si attende ora che la politica si adegui, visto che gli ultimi bandi pubblicati contengono ancora la dicitura “cittadini italiani”. L’avvocato Alberto Guariso, di Asgi, ha spiegato a Vita che «il ministero deve aprire anche ai cittadini stranieri residenti. […] Potrebbero utilizzare qualche espediente tecnico, ma noi faremo ancora ricorso perché è ormai chiaro che predisporre un altro bando come i precedenti in cui si chiede la cittadinanza italiana come requisito è discriminatorio». L’unica certezza in tutto ciò, ironia della sorte, è che il ragazzo che ha innescato questo positivo ripensamento dei confini del servizio civile non potrà beneficiare della nuova situazione, avendo nel frattempo superato il limite di età previsto dalla legge.