La notizia del noto rapper italiano che ha annunciato la sua uscita dalla Siae per firmare un contratto con un’altra società che si occupa di diritto d’autore ha avuto molta risonanza. In effetti, questo passaggio potrebbe contribuire ad accelerare il processo di abbandono del sistema di monopolio, peculiarità tutta italiana (oltre a noi solo la Cechia ha un sistema simile). Il personaggio in questione, come saprete, è Fedez, e la società a cui ha affidato la tutela dei diritti per le proprie canzoni è Soundreef, che è stata fondata da italiani ma ha sede nel Regno Unito. In Italia, a causa del regime di monopolio istituito nel 1941, l’unica società autorizzata a occuparsi di questo compito è la Siae. Una direttiva del Parlamento europeo del 2014 ha però permesso agli artisti di affidare la tutela del proprio diritto d’autore a qualunque società. Siccome in Italia ce n’è solo una, l’unico modo per aggirare il monopolio è rivolgersi a una società straniera. La start-up Soundreef soddisfa il requisito, pur essendo di fatto il frutto dell’imprenditorialità di un italiano, Davide D’Atri.
Subito dopo l’annuncio di Fedez sulla sua scelta, la Siae ha risposto con una nota, in cui si dice dispiaciuta per l’accaduto, sottolineando di poter contare comunque su un numero di associati sterminato. Inoltre Siae ha smentito le accuse di mancata trasparenza nella rendicontazione, fatte da Fedez (e prima di lui da un gran numero di altri artisti nel corso degli anni). Esauriti i canali ufficiali, Siae ha parlato anche attraverso uno degli eventi musicali più seguiti dell’anno, il Concerto del primo maggio a Roma. «A serata inoltrata – scrive Francesco Prisco sul suo blog per il Sole 24 Ore – il conduttore Luca Barbarossa, affiancato da La Mario, ha spiegato al pubblico di piazza San Giovanni e ai telespettatori l’importanza del ruolo di Siae per la tutela del diritto d’autore». Un messaggio con cui la Società ha voluto probabilmente “marcare il territorio” e arrivare direttamente al pubblico più giovane e magari poco interessato ai comunicati ufficiali.
In questione non c’è però solo un’“antipatia” verso la gestione Siae da parte di uno o più artisti. C’è di mezzo una direttiva europea, la numero 26 del 2014, cosiddetta “Barnier”, con la quale l’Unione ha deciso di aprire il mercato della tutela del diritto d’autore. Il termine entro cui ogni Stato avrebbe dovuto recepirla è scaduto il 10 aprile di quest’anno. Il problema è che da quella direttiva si possono trarre diverse interpretazioni, così sintetizzate da Andrea Biondi e Francesco Prisco sul Sole: «Il tema è fino a che punto debba spingersi la liberalizzazione chiesta da Bruxelles: per alcuni deve prefigurare la concorrenza tra le società di collecting dei diversi Stati (io autore europeo sarei libero, cioè, di affidare i diritti delle mie opere a una società di un qualsiasi Stato membro), per altri significa la rottura di monopoli storici (come quello di Siae in Italia) nelle attività di riscossione all’interno dei singoli Stati». L’Italia si è fermata a metà strada e, dopo avere esaminato diverse proposte di legge che intendevano recepire la direttiva, il Parlamento sta studiando un provvedimento che non apre il mercato ad altri editori, ma si limita a imporre alla Siae una maggiore trasparenza.
Nonostante gli annunci di Dario Franceschini e Matteo Renzi ai tempi del loro insediamento, l’intenzione sembra quindi quella di non scalfire il monopolio Siae (che ha passato gran parte degli ultimi trent’anni in regime di commissariamento), ma solo costringere quest’ultima a rendersi un po’ più presentabile ai propri associati. Trecento imprenditori e investitori hanno inviato nei giorni scorsi una lettera a Matteo Renzi per indurlo a valutare una diversa soluzione, illustrando le ricadute positive (in termini di innovazione, occupazione, creazione di ricchezza) a cui porterebbe un’apertura del mercato.
I vantaggi ricadrebbero anche sugli artisti, che oggi hanno accesso ai dati sui propri diritti d’autore con grande ritardo: «Un mese fa mia mamma, con cui lavoro, mi ha mostrato la rendicontazione del 2013 – ha detto lo stesso Fedez –. Non c’era ancora Renzi ma Papa Ratzinger: è passato troppo tempo. Quindi ho cominciato ad informarmi e cercare un’alternativa». Non indaghiamo sull’apparente confusione di avvicendamenti istituzionali, ma in effetti tre anni non sono pochi, soprattutto per chi, a differenza di Fedez, non può contare su guadagni milionari, ma lavora comunque nel settore artistico e musicale e ha diritto a farlo con un trattamento dignitoso.
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