Da circa un anno e mezzo il Parlamento non riesce a mettersi d’accordo sulla votazione dei tre giudici delle Corte costituzionale che è chiamato a eleggere. Uno stallo istituzionale che denota da un lato la farraginosità della maggioranza, dall’altro le difficoltà di trovare un candidato condiviso con un soggetto in campo, il Movimento 5 Stelle, che non si piega alle dinamiche della politica italiana. Ne fa un’analisi Gerhard Mumelter, corrispondente del quotidiano austriaco Der Standard, su Internazionale.
Dopo diciassette mesi hanno perso il conto. Per alcuni giornali l’ennesimo tentativo fallito di eleggere tre giudici costituzionali era il ventiseiesimo, per altri il ventisettesimo. Poco importa. È uno scandalo politico che all’opinione pubblica interessa poco. Ma è un segno preoccupante della profonda crisi della politica e delle sue istituzioni. Inascoltato l’appello del presidente Sergio Mattarella, vano quello dei presidenti Pietro Grasso e Laura Boldrini di «impegnare tutte le forze per consentire la massima operatività delle istituzioni».
Alla fine il 25 novembre i franchi tiratori sono stati più di cento. Con un sms, il Partito democratico, Forza Italia e i centristi avevano ricordato ai propri parlamentari la terna da votare: Augusto Barbera, Francesco Paolo Sisto e Giovanni Pitruzzella. Tutti e tre affondati dai dissidenti dei propri partiti, dalle diatribe e dai rancori interni.
Entusiasti i cinque stelle, il cui candidato indipendente Franco Modugno ha avuto più voti dei parlamentari grillini presenti in aula. «L’inciucio è finito. Vi servono i nostri voti, ma dovete fare nomi diversi che non siano soldati di partito. Renzi la smetta di giocare con le poltrone e di presentare professionisti della politica», gongola Danilo Toninelli che sottolinea come sia stata sconfitta la «riedizione del patto del Nazareno». Si divide il Pd, la cui sinistra ha affossato la candidatura di Barbera. Pier Luigi Bersani consiglia un cambio di strategia: «Andare dal M5s con un solo nome è come farsi dire di no». Si agita il capogruppo Luigi Zanda: «Non possono essere loro a scegliere il nostro candidato».
Sta di fatto che i tre maggiori gruppi parlamentari non sono in grado di arrivare a una maggioranza qualificata. Sia perché i nomi proposti non vengono votati dalle minoranze interne, sia per lo sfarinamento permanente della maggioranza nelle due camere. Il trasformismo ha infatti raggiunto cifre record: a metà legislatura 242 parlamentari hanno cambiato partito, alcuni fino a cinque volte. Se nella scorsa legislatura i cambi sono stati in media quattro al mese, ora superano i dieci. Così è stato snaturato il parlamento uscito dalle elezioni e alla camera il gruppo misto è più numeroso di Forza Italia.
Ma mentre i grillini non riescono a nascondere la loro profonda soddisfazione, i partiti sconfitti fanno finta di niente: si riparte con la stessa terna. Il parlamentare Pd Walter Verini: «Il Pd ha fatto il suo dovere, i giochetti dei cinque stelle e di altre forze li lascerei da parte perché stiamo parlando della consulta e non di una bocciofila».
Ma qui si pone una domanda semplicissima ed essenziale: un giudice costituzionale indipendente non è forse preferibile a uno legato a un partito? Insistendo sui candidati bocciati Pd, Forza Italia e centristi non giocano solo al massacro, ma fanno il gioco del M5s che sta continuamente salendo nei sondaggi. Ma loro insistono sul loro principio: «Servono candidati reciprocamente graditi alle tre forze principali».
Difficile credere che la prossima votazione, fissata per il 1 dicembre, possa portare all’elezione dei tre giudici, dato che al più votato, Augusto Barbera, mancavano 90 voti. E si può presumere che le decine di operai che da 17 mesi hanno montato e smontato per 27 volte i banchi aggiuntivi per riunire il parlamento intero a Montecitorio, non rimarranno disoccupati.
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