Sulle pagine di ZeroNegativo ci siamo trovati spesso a ragionare sugli elementi che devono, o dovrebbero, caratterizzare un ambiente associativo sano e funzionale. Abbiamo parlato di rappresentatività e collegialità, per esempio, nel riflettere su come il ruolo di leadership debba essere subordinato ai contenuti: a quello che sta sotto al nome e alla carica associativa. Ma dietro tutte le riflessioni fatte fin qui, in fondo, il punto era e resta uno solo: trovare il modo migliore di stare insieme.

Avis Legnano ha sempre creduto che per raggiungere questo proposito, per quanto impegnativo, serva darsi delle regole comuni – e poi rispettarle. In una logica di unitarietà che permetta di includere le differenze e farne una ricchezza, piuttosto che emarginarle in cerca di un’impossibile unanimità.

Ci sembra utile tornare su queste riflessioni periodicamente perché, come ogni organizzazione fatta da uomini e donne, il rischio di deragliare dai principi fondanti è sempre vivo e presente. Come abbiamo ribadito più volte, è importante che tutte le nostre energie siano concentrate nell’obiettivo che costituisce la nostra missione e che ci dà la direzione: fare un donatore o donatrice in più.

Nella struttura che ci siamo dati nel corso di poco meno di un secolo, da quando Avis esiste, le strutture di coordinamento sono servite a dare al nostro stare sui territori degli elementi di coesione, oltre che di rappresentanza. Un’associazione che si dota di strutture intermedie in grado di rappresentare diversi livelli territoriali è un’associazione più forte quando si presenta ai soggetti che assieme a noi compongono il sistema sangue, ossia la politica e il sistema trasfusionale.

Le Avis di coordinamento, e ci riferiamo in particolare alle Avis provinciali, devono essere innanzitutto la nostra prima casa comune. Per questo abbiamo deciso fin dall’inizio che in quella sede avremmo dato piena rappresentatività ai territori, a prescindere dal peso che questi hanno in termini di donatori attivi. La nostra casa comune deve accogliere e rappresentare il grande come il piccolo allo stesso modo, senza creare gerarchie e rapporti di potere i cui effetti deleteri conosciamo fin troppo bene in ogni ambito delle nostre società.

Torniamo quindi al concetto di rappresentatività, e al suo declinarsi secondo un criterio di massima inclusività dei territori. Non sempre questi principi sono rispettati in alcuni passaggi della vita associativa, che invece sembrano andare in direzione totalmente opposta. In alcuni casi si registra una difficoltà, nella nostra associazione, a farsi serenamente da parte quando vengono a mancare le condizioni per stare assieme. Sono dinamiche che si manifestano, per esempio, quando si attendono dimissioni che non arrivano, o che arrivano troppo tardi. O che sono seguite da polemiche, richieste di ulteriori chiarimenti, di schieramenti, alla ricerca di una faziosità che non fa che dividerci e renderci più fragili.

Purtroppo non possiamo permetterci di spendere energie preziose, e limitate, in simili diatribe. Viene alla mente l’antica quanto scorretta pratica di “avvelenare i pozzi”, per danneggiare il nemico anche dopo avere abbandonato il campo. Spiace trovarsi a usare una metafora bellica in una fase storica così complessa e dolorosa, ma non troviamo immagine più efficace per descrivere certi comportamenti.

Ciò che ci rasserena, d’altro canto, è che questa associazione ha dimostrato in più occasioni di avere gli anticorpi per proteggersi da chi la vorrebbe indebolire, e per fare rientrare, o espellere, pretese personali che nulla hanno a che fare con la nostra missione. Concludiamo quindi questi appunti con un appello a restare uniti nella nostra missione di sensibilizzazione e supporto nella raccolta di sangue ed emocomponenti. Continuiamo, o torniamo, a vivere la nostra complessità e pluralità come una grande ricchezza, e non, come alcuni la vivono, come una fastidiosa scocciatura.

(Foto di Wylly Suhendra su Unsplash)

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