Da un paio di settimane è in onda su Radio3 un nuovo programma sulla lingua italiana, La lingua batte (tutti i sabati alle 14). Non una trasmissione educativa, visto che ormai sono lontani gli anni di Sessanta di Non è mai troppo tardi, programma televisivo della Rai che aiutò molte persone a uscire dall’allora molto diffuso analfabetismo. Le finalità in questo caso non sono educative, bensì esplorative. L’italiano è una lingua in continua evoluzione, come tutte, ma che forse più di altre ha dovuto fare i conti con una modernità arrivata molto in fretta, che dopo la seconda guerra mondiale ha posto il Paese di fronte al progressivo formarsi di una lingua nazionale a discapito dei dialetti. Che però non sono mai morti del tutto, sono semplicemente “passati di moda”, soprattutto nel periodo del “boom”, quando l’Italia si reinventava Paese industriale, lasciando da parte il suo passato agricolo. Ma stanno tornando, come ha fatto notare Carla Marcato, autrice del libro “Dialetto, dialetti e italiano”, che nella seconda puntata -tutta dedicata al rapporto tra italiano e dialetti-, andata in onda sabato 19 gennaio assicura che «i dialetti non scompariranno. Anzi si sta osservando una risorgenza del dialetto da parte di chi conosce bene l’italiano». Da un dialetto per difetto a un dialetto per diletto, si diverte a far notare Giuseppe Antonelli.
«Io penso in napoletano, sogno in napoletano» sostiene in un intervista il compianto Massimo Troisi, che ha vissuto il suo modo di parlare come strumento di affermazione di sé nel momento in cui ha lasciato la città d’origine. «C’era un po’ di rabbia per questa sorta di preconcetto per cui il napoletano non si capisce -dice in un’intervista-. Mi sembra in realtà una mancanza di disponibilità. Io lo capisco uno che parla romano milanese, per cui aggia ritt’ “no, ate a capì o napulitano”». Altra ospite è Maria Luisa Altieri Biagi, linguista di grande spessore e autrice del libro “Parola”, che nel suo intervento spiega (ma, ripetiamo, in maniera per nulla didascalica) proprio l’essenza della parola. E poi il viaggio continua nell’italiano delle canzoni “pop”: ogni settimana se ne sceglie una (sabato è stato il turno di Titanic, di Francesco de Gregori) e se ne analizza il testo soffermandosi sulle scelte, le licenze e gli stravolgimenti che l’italiano subisce per portare a casa l’agognata rima o per evocare l’immagine voluta.
C’è anche un collegamento con l’attualità, nel rapporto tra i cosiddetti “nuovi italiani” e la nostra lingua. Una relazione spesso non facile, ma sempre foriera di sorprese, di interesse e in grado di favorire una riduzione delle distanze culturali, in cui la lingua svolge un ruolo primario. La trasmissione “entra” così in una classe dove si insegna l’italiano come “lingua seconda”. Da menzionare l’illustrissima presenza del presidente emerito dell’Accademia della crusca Francesco Sabatini (co-autore del dizionario “Sabatini-Coletti”), che cura la rubrica “Accademia d’arte grammatica”, ossia le risposte ai dubbi linguistici degli ascoltatori. Si dice i pneumatici o gli pneumatici? Fine settimana è maschile o femminile? E poi si arriva alla bestia nera del nostro tempo: piuttosto che usato come sinonimo di oppure -e non, com’è corretto, come equivalente di invece di-, virus di origine lombardo diffusosi in tutto il Paese. Insomma, La lingua batte è un programma necessario. Ascoltatelo, scaricate i podcast, parlatene, perché «la fortuna di un popolo -diceva Fernando Pessoa- dipende dallo stato della sua grammatica. Non esiste grande nazione senza proprietà di linguaggio».
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Vorrei gentilmente sapere dal Prof. Sabatini perchè tutti gli italiani usano l’espressione “fine settimana” al maschile, mentre fine inteso come termine è femminile e settimana è femminile.
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