A un mese e mezzo dall’ultima rassicurante notizia che smentiva le voci di imminente chiusura dell’Agenzia per il terzo settore, dal ministro del Lavoro e delle politiche sociali Elsa Fornero arriva una doccia fredda: «Abbiamo deciso di chiudere questa agenzia, ci dispiace. Bisognava per forza fare questa operazione. Creare un’altra authority non si può. E tenerla in vita così com’è sarebbe stata la riprova che in Italia non si può chiudere niente». Queste le parole usate dal ministro a margine di un intervento durante il Convegno sui servizi per l’infanzia che si è svolto a Milano sabato 28 gennaio.
Eppure, nei burrascosi giorni di inizio dicembre in cui sembrava che l’Agenzia fosse destinata a sparire tra le maglie del decreto “Salva Italia”, il suo presidente Stefano Zamagni si era lasciato andare a un cauto ottimismo, dichiarando che «Il premier non solo non ha cancellato l’Agenzia, […] ma sono in corso valutazioni affinché la stessa venga rafforzata. […] Non voglio usare il termine Authority, ma andiamo verso qualcosa di simile». Dalla possibile chiusura sembrava quindi che si potesse guardare al futuro con un minimo di serenità. E invece niente, il sogno è finito.
L’annuncio (perché di questo si tratta, per il momento) lascia perplessi, visto che l’ente si regge sul contributo di 12 persone distaccate dagli enti locali lombardi, mentre i consiglieri ricevono solo un rimborso spese e la spesa annua totale ammonta a 700mila euro. Troppo costosa rispetto ai risultati, si dice. Ci piacerebbe avere accesso ai criteri di valutazione che hanno prodotto questo giudizio, e magari utilizzarli per valutare altri enti e authority, ben più costose, in relazione ai risultati ottenuti.
L’Agenzia, in questi primi dieci anni di attività, ha dato un contributo importante alle strategie di sviluppo del terzo settore, e ha svolto un ruolo di controllo determinante per contrastare dinamiche e stanare soggetti che ne tradivano i principi e le regole. E se un calo di produttività effettivamente si è registrato, forse va ascritto alla mancanza di risorse con cui l’Agenzia deve fare i conti da tre anni a questa parte. Adriano Propersi, raggiunto al telefono da un giornalista del Corriere, non si dimostra sorpreso dalla decisione, vista questa tendenza all’abbandono da parte delle istituzioni.
Inoltre Propersi fa il punto su ciò che ancora potrebbe fare l’Agenzia, se solo avesse a disposizione i mezzi: «Bisognerebbe lavorare per lo sviluppo dell’impresa sociale, incentivare le agevolazioni per queste aziende che producono senza fini di lucro e danno occupazione soprattutto ai giovani. Lavorare con l’Agenzia delle entrate per semplificare la materia fiscale e rendere più facile la vita ai veri enti non profit, più difficile a quelli che imbrogliano e lucrano. […] C’è un’area nera che lambisce medie-grandi fondazioni e associazioni -San Raffaele docet- ma anche sindacati e partiti. Il problema è che non c’è obbligo di trasparenza. Bisognerebbe, invece, rendere pubblici i bilanci. […] [L’agenzia] servirebbe soprattutto se fosse rafforzata, se diventasse come una mini-Consob: con poteri di sanzione e la capacità concreta di lottare contro chi usa il non profit per rubare».
Ci sembra insomma che di argomenti validi a favore della sua sopravvivenza, e anzi del suo potenziamento, ce ne siano eccome. Ancora non è arrivata una dichiarazione da parte di Zamagni. Aspetteremo nei prossimi giorni che si faccia chiarezza sulla questione, nella speranza che il professore possa smentire quella che ormai, più che una voce, sembra essere una notizia.