Proviamo a entrare, in punta di piedi, in un campo molto delicato, che non possiamo continuare a evitare di calpestare: le cosiddette politiche di “fine vita”. L’argomento torna d’attualità dopo un messaggio inviato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano all’associazione Luca Coscioni, che a sua volta l’aveva sollecitato a esprimersi. Per la precisione, Carlo Troilo, consigliere generale del sodalizio, ha inviato la sua missiva a tutti i parlamentari di Camera e Senato. L’unico a rispondergli è stato Luigi Zanda, esprimendo le proprie perplessità sul tema dell’eutanasia, ma non sottraendosi al dialogo e anzi impegnandosi (come poi ha fatto) a calendarizzare la discussione al Senato. Oltre a lui (impressionante che solo uno su quasi mille parlamentari abbia ritenuto di rispondere), si è espresso appunto Napolitano, in questi termini: «Ritengo che il Parlamento non dovrebbe ignorare il problema delle scelte di fine vita ed eludere “un sereno e approfondito confronto di idee” su questa materia. Richiamerò su tale esigenza, anche attraverso la diffusione di questa mia lettera, l’attenzione del Parlamento».

Come fa notare Chiara Lalli, su Wired, il Presidente si era già espresso nel corso del suo primo mandato, in risposta a Piergiorgio Welby, malato di distrofia muscolare che pure gli aveva scritto affinché la politica affrontasse l’accanimento terapeutico che in Italia colpisce anche chi, perfettamente capace di intendere e di volere, vuole smettere di essere curato ma non gli viene permesso. Anche allora, nel 2006, Napolitano accolse le parole di Welby invitando alla discussione sul tema: «Raccolgo il suo messaggio di tragica sofferenza con sincera comprensione e solidarietà. Esso può rappresentare un’occasione di non frettolosa riflessione su situazioni e temi, di particolare complessità sul piano etico, che richiedono un confronto sensibile e approfondito, qualunque possa essere in definitiva la conclusione approvata dai più». In realtà, la legge ovviamente non può impedire a qualcuno di rifiutare le cure. Il problema sorge nei casi in cui il malato non abbia la facoltà di esprimersi, perché non cosciente o non in grado di comunicare. A quel punto sono i medici e i familiari a decidere. In certi casi, come quelli di urgenza, la situazione non presenta particolari problemi di interpretazione, come spiega Lalli: se qualcuno arriva al pronto soccorso in stato di incoscienza è ovvio che i medici lo cureranno senza il suo consenso. Ci sono poi i casi che prevedono il tso (trattamento sanitario obbligatorio), ossia quelli in cui non si è in grado di decidere o si è affetti da malattia infettiva.

«Fino a due anni fa il dibattito poco sereno si era concentrato sulla legge sulle direttive anticipate di trattamento: uno strumento più “leggero” dell’eutanasia, e di fatto già esistente. Il cosiddetto testamento biologico non è che il prolungamento temporale del consenso informato. […] Le direttive anticipate di trattamento allungherebbero questo tempo […], garantendo che a essere rispettate siano le mie volontà e non quelle di mio zio cui non affiderei manco il destino del mio gatto o di un medico con il quale non ho nulla da spartire». L’associazione Luca Coscioni, ricevuta la lettera di Napolitano, chiede di andare oltre la semplice constatazione del problema, «spingendo il Parlamento a discutere finalmente di eutanasia a esaminare la proposta di legge di iniziativa popolare per la legalizzazione dell’eutanasia, presentata dalla nostra e da altre associazioni con quasi 70mila firme autenticate di cittadini e depositata alla Camera dei deputati il 13 settembre del 2013». Parlare di eutanasia è ancora tabù per molti italiani, ma crediamo che almeno il riconoscimento della piena validità del testamento biologico (ossia la dichiarazione anticipata di trattamento), attualmente non previsto da alcuna legge, sia un obiettivo alla portata di questo Parlamento, e raggiungibile attraverso «un sereno e approfondito confronto di idee».

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