In un articolo pubblicato qualche giorno fa sul blog Minima&Moralia, Alessandro Garigliano si sofferma sulla distinzione tra responsabilità e sacrificio e su come nella fase elettorale e post-elettorale dei mesi scorsi la politica abbia confuso i due termini con un’abile mossa di spostamento semantico. Ne proponiamo un estratto.
[…] Di recente, nella cronaca politica, la parola responsabilità ha allagato le bocche di ogni rappresentante del popolo. E non importa se il termine è stato usato da posizioni opposte e con strumentalizzazioni differenti e positive o negative. Quello che mi interessa, nella presente analisi, è che ho avuto l’impressione vi fosse un fraintendimento semantico e, secondo il mio modo di vedere, una grave distorsione politica.
Durante l’elezione del Presidente della Repubblica, ma anche mentre si svolgevano le consultazioni e ancora prima nei modi in cui le singole forze in campo si sono preparate alla formazione del governo, è stato messo in scena di continuo, in modo quasi ossessivo, uno psicodramma, nel quale l’epilogo era sempre lo stesso: l’invocazione della responsabilità. La responsabilità declinata però in forme improprie. Veniva imbracciata contro il mitologico salto nel buio, per esempio. Parlo, ça va sans dire, della posizione di alcuni (forse 101) del Partito Democratico e di tutto il Popolo della Libertà e di Scelta Civica che si sono schierati, con una paura manifesta, contro la possibilità di un’alleanza governativa tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, essendo considerato questo una forza ignota, incontrollabile, perfino caotica. Ma il Movimento 5 Stelle, di contro, brandiva la responsabilità in difesa ostinata del Paese, contro quelli che erano considerati morti viventi ovvero la vecchia classe politica che per vent’anni non aveva mai realizzato nessuna grande riforma; quindi diveniva responsabile chi non avrebbe mai più permesso la permanenza alla guida dei responsabili della paralisi. Il risultato di tanta responsabilità è stato, per quel che riguarda il Movimento 5 Stelle, l’asserragliarsi nella purezza aventiniana, per gli altri, invece, il ritorno alla stabilità contro il precipizio, l‘horror vacui.
Tutto questo sembra corrispondere perfettamente al disagio della Civiltà ipermoderna di cui parla con insistenza in molti suoi libri Massimo Recalcati. È come se nello scenario politico si fossero scontrate da un lato forze nevrotiche che pur di non perdere il controllo, terrorizzate dalla paura che potessero verificarsi i desideri della maggioranza delle persone che, tra astensione, schede bianche e nulle e voto al Movimento 5 Stelle, hanno chiesto un cambiamento radicale, se non un azzeramento estremo di quanto si era visto da vent’anni a questa parte; forze nevrotiche che Eco chiamerebbe, in altro contesto, Integrati e che Recalcati definisce come coloro che, per conformismo, si pietrificano in una Identificazione solida con la realtà. E dall’altro lato, in opposizione a tutto, il Movimento che sceglie strategicamente la verginità autistica, l’autosufficienza di Narciso, l’omicidio di coloro che rappresentano i Padri; Eco, in questo caso, parlerebbe di Apocalittici.
Oggi, essendo difficile negare il mantenimento della status quo ante, riconoscendo la riproposizione sorda di schemi antichi ai vertici della macchina statale, è necessario denunciare il tradimento della responsabilità. Secondo quanto ho scritto sopra, la responsabilità, avrebbe dovuto trascinare in alto le volontà di ogni singola molecola partitica, nel tentativo eroico di trasformare in leggi i desideri dei cittadini. Ogni individuo politico avrebbe dovuto condividere i progetti migliori, i disegni rivoluzionari, anziché sacrificare le proprie ambizioni in un gioco di posizionamento tattico distruttivo.
Essere responsabili non significa incenerire se stessi per accordarsi e disinnescare le rispettive energie. La responsabilità avrebbe dovuto intercettare i bisogni e farli fecondare, dando un senso al volere dei cittadini, dando forma al dolore di una Nazione, correndo i rischi dovuti, sporgendosi nell’abisso di chissà quali potenzialità. Essere responsabili, maledizione, non è un sacrificio. Il sacrificio è la combustione di parti di sé sull’altare di pragmatismi ormai insostenibili, il sacrificio è la mortificazione di quello che siamo, schiacciati da un realismo oggettivo, ma mai inesorabile. Il sacrificio è un ricatto, un’imposizione violenta, è morte. La responsabilità è una scelta che ci ancora alla verità di quello che abissalmente siamo: è una ricerca di vita.
Quindi vorrei che adesso i politici non parlassero più di responsabilità, ma di morte. È questo il luogo in cui hanno scelto di vivere, in cui viviamo.