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Dopo un anno alla guida del governo, è tempo di fare il punto della situazione su quanto effettivamente realizzato dall’esecutivo di Matteo Renzi. Il cronoprogramma presentato a suo tempo dal presidente del Consiglio era molto serrato e prevedeva una serie di riforme che si prefiggevano risultati ambiziosi praticamente in tutti gli aspetti di cui la politica si occupa. Il sito Valigiablu ha messo insieme un articolo in cui elenca per punti tutte le promesse fatte, mettendole a confronto con la realtà. Ne esce un quadro che complessivamente ridimensiona di molto le prospettive, pur riconoscendo che (ovviamente) qualcosa si è fatto.

Partiamo dalle province, una delle riforme strutturali che avrebbero dovuto portare a termine il lavoro iniziato dal governo di Mario Monti e che già allora subì una forte revisione, che spostò i termini della discussione dalla “cancellazione” delle province a quella che fu poi definita “razionalizzazione”. Il governo Renzi ha fatto delle scelte che hanno creato uno strano sfasamento, per cui le risorse a disposizione degli enti territoriali sono state tagliate, come se questi avessero già cambiato la propria forma e ridotto le proprie funzioni. Tuttavia le regioni non si sono adeguate a livello legislativo, e così ora le province si ritrovano a dover esercitare più o meno le stesse attività, ma con molte meno risorse. Il giochino, se architettato ad arte, è diabolicamente riuscito. Ecco nel dettaglio come si è arrivati a questa situazione: «Il decreto attuativo della Legge Delrio prevedeva che ogni regione approvasse entro il 31 dicembre 2014 una legge di ridefinizione delle funzioni delle vecchie Province. Secondo il dossier dell’UPI (Unione delle Province Italiane) del 15 gennaio 2015, nessuna regione ha approvato il piano di riordino entro la data prestabilita. Nel frattempo, però, l’approvazione della Legge di Stabilità ha reso immediatamente effettivi tagli di risorse alle Province, già previste dalla legge Delrio al termine del suo iter. Risultato? Per quanto l’informativa del Governo dello scorso 8 agosto ci dica che le province sono scomparse dalla Costituzione, senza la riforma del Titolo V esse continuano ad esistere e a esercitare le proprie funzioni, facendo fronte ai tagli imposti dalla legge di Stabilità 2015, che impone a Province e Città metropolitane un taglio di 1 miliardo per il 2015, 2 miliardi per il 2016 e 3 miliardi per il 2017: un sacrificio, che secondo l’Upi, renderà impossibile garantire i servizi essenziali ai cittadini in capo alle Province e alle Città metropolitane».

Altra grossa questione è quella del lavoro. Dopo l’approvazione della legge delega da parte del Parlamento, il governo sta licenziando i decreti attuativi che dovrebbero dare esecuzione al disegno voluto da Renzi per portare ulteriore flessibilità nell’ambito dell’occupazione, a fronte di opportunità di inserimento nel mondo del lavoro. Con l’obiettivo di semplificare le tipologie di contratto possibili, il governo si proponeva tra l’altro di ridurre le forme contrattuali a termine, eliminando i co.co.pro, il lavoro interinale e il tempo determinato. In realtà, «Due sono stati gli interventi del Governo: riforma generale del mercato del lavoro (Jobs Act) per semplificare le regole di assunzione e introdurre regole prevedibili per i licenziamenti; sussidi di disoccupazione, per aumentare la copertura per un più ampio range di beneficiari. Entrambi gli interventi sono stati approvati dal Senato il 3 dicembre 2014. Cosa è successo? Permangono i dubbi sull’efficacia del Jobs Act rispetto alla precarizzazione delle forme contrattuali. A fronte della modifica dell’articolo 18, restano lavoro interinale, lavoro a chiamata, tempo determinato a 36 mesi rinnovabile 5 volte». Staremo a vedere cos’altro succederà, ma al momento anche questi risultati paiono piuttosto modesti rispetto alle premesse.

Per stare in tema di occupazione, va registrato anche il sostanziale fallimento del progetto Garanzia giovani, che sarebbe dovuto servire a creare opportunità di inserimento lavorativo per i giovani che avessero fatto richiesta di adesione al programma. «A causa di ritardi nell’attuazione del piano da parte degli enti locali e l’assenza di una struttura di coordinamento, la misura si è rivelata fino ad ora un flop. Su 1.565.000 giovani aventi diritto, solo 412.015 hanno aderito al “Piano garanzia”; di questi, solo 12.273 hanno ricevuto un’offerta di lavoro, stage o formazione».

Tanti altri sono i temi su cui i risultati sono al momento molto lontani dagli annunci. Il falso in bilancio è ancora ai primi passaggi parlamentari, per esempio. Il fondo per le imprese sociali, dai 500 milioni promessi è sceso a 50. Lo sconto sull’Irap sul costo del lavoro dipendente è neutralizzato dagli aumenti dell’aliquota programmati. Gli 80 euro in busta paga, effettivamente erogati e stabilizzati, saranno compensati dagli aumenti dell’Iva previsti da qui ai prossimi anni (nel 2018 dovrebbe arrivare al 25,5 per cento). Poi ci sono i debiti della pubblica amministrazione, quelli che impediscono a tante imprese e professionisti di avere i soldi che spettano loro e potere quindi investire ed espandere la propria attività. «Matteo Renzi, a Porta a Porta, promette di pagare tutti i debiti della Pubblica Amministrazione entro il 21 settembre. A Febbraio 2015, il Ministero dell’Economia annuncia che i pagamenti effettuati ai creditori ammontano a 36,5 miliardi. Secondo ImpresaLavoro si tratterebbe di meno della metà di quanto dovuto dalla Pubblica Amministrazione ai creditori». Insomma, siamo piuttosto lontani dalla sufficienza, ma ne riparleremo tra un anno, visto che comunque la legge elettorale, qualora fosse approvata, entrerebbe in vigore dal primo luglio 2016. Possiamo ipotizzare che nessuno avrà interesse a far cadere il governo fino a quel momento.