Con l’approvazione-lampo della legge di Bilancio 2017, appena prima delle dimissioni del governo presieduto da Matteo Renzi, è stato accolto un emendamento che rappresenta una buona notizia per il consumo di suolo in Italia. Grazie a un’iniziativa promossa dal Fai (Fondo ambiente italiano) è stato infatti inserito nel testo della legge un articolo che impedisce ai Comuni di utilizzare i proventi derivanti da concessioni e dalle sanzioni edilizie per spese correnti. In base alla nuova legge, a partire dal 2018 tali fondi potranno essere utilizzati esclusivamente per interventi di riqualificazione urbanistica e ambientale del territorio e per la prevenzione del rischio sismico e idrogeologico. Le calamità naturali che si sono abbattute sull’Italia negli ultimi mesi (tra terremoti e forti piogge) hanno messo in luce, nel caso ce ne fosse bisogno, l’assoluta urgenza di adottare provvedimenti come quello appena approvato. Non sufficiente da solo a risolvere il problema, certo, ma utile a dare un indirizzo politico che sarebbe bene mantenere anche in futuro. Nonostante, complice la crisi economica, le attività di costruzione edilizia abbiano notevolmente rallentato il proprio ritmo, il consumo di suolo non ha mai smesso la sua corsa.

Negli anni 2000 si sono consumati in media 8 metri quadrati di suolo al secondo, procurando danni irreparabili al paesaggio. Con la crisi immobiliare, negli ultimi tre anni il ritmo è sceso a 4 metri al secondo. Ma non c’è comunque da festeggiare, visto che a un certo punto anche il settore immobiliare riprenderà la sua corsa e, se non troverà sulla propria strada adeguati paletti, il rischio di aggravare la già difficile situazione è concreto. E infatti il Fai, assieme alle altre associazioni che hanno sostenuto la campagna per l’approvazione dell’emendamento #salvailsuolo, colgono l’occasione «per augurarsi che sia approvato al più presto il ddl sul consumo del suolo, già varato il 12 maggio scorso alla Camera in prima lettura e ora all’esame congiunto delle commissioni Ambiente e Agricoltura del Senato».

Nonostante la soddisfazione, restano alcune perplessità su come la politica sta gestendo questa emergenza negli ultimi anni, anche a causa delle pesanti modifiche operate al testo proposto inizialmente alle commissioni, che a detta dei promotori ne hanno ridotto di molto le potenzialità e l’efficacia. «La politica ha dedicato pochissima attenzione a questo tema, rallentando il percorso parlamentare della legge e svuotando di efficacia il testo originario», si legge nel resoconto di un incontro organizzato dal Fai lo scorso 20 settembre. Diversi i punti critici evidenziati in quell’occasione, soprattutto su ambiguità e semplificazioni contenute nel testo che allora si stava discutendo. La norma, spiegano i promotori, non considera il consumo di suolo in tutte le sue forme, e questo potrebbe rappresentare un ostacolo al suo contenimento. Un altro No viene espresso in merito all’equiparazione del suolo agricolo naturale e semi-naturale al suolo de-impermeabilizzato, «ovvero che è stato liberato delle coperture (infrastrutture e strutture) ma che tornerà ad essere suolo fertile solo dopo 500 anni e più». Anche una serie di eccezioni rispetto alle categorie che concorrono a formare il calcolo del suolo consumato sono state accolte con disappunto. «È stato calcolato – si legge nel resoconto – che il 54 per cento del suolo consumato nel 2015 non sarebbe stato conteggiato secondo le attuali definizioni del testo di legge, sfuggendo quindi al monitoraggio e ai vincoli di tutela».

Nonostante questi problemi, meglio avere una legge migliorabile piuttosto che non averne nessuna. Si tratta comunque di un buon risultato per l’Italia, anche perché un’altra battaglia è in corso per la salvaguardia del territorio, stavolta a livello europeo. Più di 400 associazioni (tra cui il Fai) si stanno impegnando infatti a promuovere una petizione da sottoporre alla Commissione europea. L’obiettivo è che le istituzioni europee approvino una direttiva comunitaria che imponga limiti al consumo di suolo con parametri condivisi da tutti i Paesi. Al momento infatti manca un indirizzo comune all’interno dell’Unione. «Chiediamo un quadro legislativo che tuteli i suoli europei dall’eccessiva cementificazione, dalla contaminazione, dall’erosione, dalla perdita di materia organica e dalla perdita di biodiversità», si legge sul sito della campagna #People4Soil. Se ha ancora senso avere fiducia nelle istituzioni europee, questa è un’occasione per queste ultime di dimostrarlo. Come ha spiegato Damiano Di Simine, di Legambiente, coordinatore della campagna: «Siamo convinti che come è avvenuto in passato per temi quali la qualità dell’aria, la qualità dell’acqua o il rischio industriale, anche quello del degrado del suolo richieda una risposta comunitaria».

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