Una dichiarazione d’amore è tanto più efficace quanto più il luogo in cui avviene riesce a rendere romantica l’atmosfera. Per questo ci pare azzeccato il blitz del comitato «Sì per l’Acqua bene comune» al balcone che fu di Giulietta Capuleti. Ancora una volta, in quel cortile di Verona va in scena una storia difficile, stavolta probabilmente sotto lo sguardo incuriosito di turisti e passanti. Dall’opera di Shakespeare ne è passata di acqua (pubblica) sotto i ponti, ma in Italia le storie d’amore complicate sono all’ordine del giorno. Sarebbe bello che bastasse una dichiarazione plateale a mettere un freno al capitalismo sfrenato che muove le dinamiche del mondo, e che ci sta portando a vedere qualsiasi cosa come valutabile, monetizzabile, adatta a essere scambiata per una somma di denaro. Per noi non è così. Forse siamo abituati troppo bene, avendo il privilegio di vedere tutti i giorni i donatori di Avis Legnano impegnati in un gesto importante quanto impegnativo, e uscire dalla sede senza chiedere nulla in cambio del loro impegno.

Ci vogliono convincere che sia giusto trarre profitto anche dall’acqua. Le frasi fatte, i paradossi, sono pericolosi, perché a volte si avverano. Quante volte abbiamo detto o sentito dire: «Ci manca poco che ci vendano anche l’aria». Fuochino, per stare in tema di elementi. Tra poco, il 12 e 13 giugno, in Italia ci sarà un referendum abrogativo, in cui due domande su tre (erano quattro, ma dalle schede elettorali è stato improvvisamente rimosso l’uranio, forse per questioni di sicurezza) riguardano la gestione dell’acqua. Il primo articolo che si potrà scegliere di abrogare è il n. 15 della legge “Ronchi” (n. 166 del 2009). Tale norma prevede il ricorso obbligatorio alla gara per l’assegnamento della gestione dei servizi (in generale, non solo la fornitura di acqua). Ma in Italia le gare già si fanno, e come ha rilevato l’Antitrust nel 2007, spesso si sa prima di iniziare quale sarà il vincitore. Il secondo quesito riguarda invece la composizione della tariffa del servizio idrico integrato. Al momento, a causa del sistema del “tasso di remunerazione del capitale investito”, il cittadino paga in bolletta anche per gli investimenti sulla rete. Peccato che negli ultimi anni non si siano fatti passi avanti su un aspetto centrale per il futuro della rete: la riduzione degli sprechi.

Continuiamo a essere il colabrodo d’Europa, con importanti eccezioni ovviamente. Milano e provincia per esempio, gestiti da Metropolitana Milanese (100% del Comune di Milano) e da Amiacque (100% pubblica). «Il modello full recovery cost non funziona –scrive il giornalista esperto in materia Luca Martinelli-; gli ultimi sedici anni hanno palesato una riduzione assoluta degli investimenti sulla rete, e -in termini relativi- il Comitato di vigilanza sulle risorse idriche presso il ministero dell’Ambiente certifica che poco più della metà degli investimenti programmati sono stati effettivamente realizzati». Continuiamo a farci distrarre dalla dicotomia tra acqua come bene pubblico oppure come bene da scambiare per produrre reddito. Sarebbe il momento di renderci conto che l’acqua va innanzitutto gestita, e con responsabilità.