In Italia attualmente ci sono 20 bambini tra zero e sei anni che vivono in carcere. La loro unica colpa è quella di essere figli di una madre detenuta, e di vivere in uno Stato che non è in grado di assicurare loro di non pagare per gli errori dei propri genitori. Un primo, fondamentale passo avanti per risolvere questa situazione si è avuto con l’approvazione da parte della Camera, a fine maggio, di una proposta di legge volta a superare la normativa in vigore. Il Parlamento si è espresso con un’unanimità che raramente si vede (241 voti favorevoli, 7 contrari), ma che lascia qualche speranza sul fatto che anche al Senato la legge possa trovare un simile accordo.
Luigi Manconi spiega così i contenuti della proposta di legge: «In sintesi: viene esclusa l’ammissibilità della custodia cautelare in carcere per le madri con figli di età inferiore ai sei anni, salva la sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. In tal caso, il giudice può disporre la misura restrittiva solo negli istituti a custodia attenuata (Icam): misura revocabile in caso di evasione o di condotte socialmente pericolose. Viene ammessa la custodia in carcere dell’imputato unico genitore di una persona con disabilità acuta solo in presenza di esigenze cautelari di eccezionale gravità. Viene ampliata, inoltre, l’applicabilità del rinvio dell’esecuzione della pena al padre di minori sotto l’anno di vita (se la madre sia deceduta o comunque impossibilitata ad assistere la prole) e alla madre (o al padre) di minore di tre anni con disabilità grave. Infine, viene imposto al ministro della Giustizia di stipulare con gli enti locali convenzioni per l’individuazione di strutture da adibire a case-famiglia protette, e l’adozione di misure per il successivo reinserimento sociale delle donne condannate. Una misura, quest’ultima, che può contare, peraltro, su fondi già presenti nel bilancio, e il cui riparto tra le regioni è stato definito dalla ministra Cartabia con un decreto dello scorso settembre».
L’approvazione della legge è stata accolta con favore da Cittadinanzattiva, associazione che da tempo si batte per i diritti dei minori in carcere. «La presenza dei bambini piccoli nelle carceri al seguito delle madri detenute, costretti a trascorrere i primi anni di vita all’interno degli istituti penitenziari, è sempre stato un paradosso del nostro sistema, a lungo dimenticato e lasciato irrisolto. Per questo l’approvazione alla Camera dei deputati della proposta di legge Siani (da Paolo Siani del Pd, primo firmatario), “in materia di tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori”, è una notizia straordinaria che ripaga l’impegno con cui da anni ci battiamo, in rete con altre organizzazioni della società civile, attraverso iniziative volte a tenere viva l’attenzione pubblica all’approvazione di misure efficaci per mettere fine in via definitiva al fenomeno dei bambini in carcere», ha detto Laura Liberto, coordinatrice nazionale Giustizia per i diritti di Cittadinanzattiva.
«Ora facciamo un appello al Senato – ha concluso Liberto – affinché l’iter parlamentare si completi entro la fine della legislatura per non vanificare questi tre anni di impegno ininterrotto e perché nessun bambino varchi più le soglie di un carcere».
Come sempre in questi casi, se anche tutto andasse bene al Senato, non bisogna illudersi che il problema sia immediatamente risolto. L’approvazione della legge prevederebbe una serie di misure che, per essere applicate, hanno bisogno di risorse, strutture e personale adeguato. È ciò su cui riflette Concita De Gregorio in un commento pubblicato su Repubblica: «La legge è buona. Mettere in casa famiglia le madri condannate al carcere con figli sotto i sei anni non è uno sconto di pena per le madri, è una promessa di vita per i figli. […] Ora però. Le case famiglia. Dove sono, ci sono? Ce ne sono abbastanza? Esistono, in questo disgraziato e squinternato Stato, strutture in grado di sostenere l’eventuale decisione di legge o saranno i tribunali, di volta in volta, a dire come e dove? Tutto in capo all’amministrazione della Giustizia, un’altra volta? Abbiamo eliminato, quasi del tutto, i consultori. Abbiamo ridotto la sanità di base a un dedalo estenuante di burocrazia. Abbiamo appaltato ai privati la cura, con grande guadagno di alcuni e pena di morte per altri, il Covid ha presentato il conto. La vera domanda, oggi, è: abbiamo ancora una struttura dello Stato capace di sopportare l’onere, i costi, di una decisione umanamente indiscutibile?».
(Foto di Hello I’m Nik su Unsplash)
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