Nel mondo anglofono, una delle parole più “di tendenza” nel 2021 è stata workcation, data dall’unione tra work (lavoro) e vacation (vacanza, nel termine usato negli Stati Uniti al posto dell’inglese holiday).

In sostanza si tratta di spostarsi, per periodi più o meno lunghi, in luoghi diversi da quello in cui si risiede abitualmente, alternando alle normali ore di lavoro la possibilità di scoprire nuovi luoghi durante il tempo rimanente.

Un concetto simile era già diffuso con l’espressione nomadismo digitale, relativo a quei lavoratori che potevano permettersi di lavorare un po’ dappertutto, purché ci fossero minime condizioni tecniche (che spesso si riducono a una presa per la corrente e una buona connessione a internet).

La differenza oggi è che la pandemia ha allargato la platea di persone che si possono permettere di sperimentare questa formula. Un’altra differenza è che mentre il “nomade digitale” è generalmente inteso come persona single che sceglie di non avere una sede principale, ma di cambiare a intervalli più o meno regolari la propria sede di lavoro, la workcation è una pratica accessibile per molte più persone (per quanto sempre minoranza privilegiata). Grazie a formule di didattica a distanza garantite in alcuni ambiti, per esempio, anche intere famiglie possono decidere di spostarsi e approfittare di questa formula fluida: di giorno ognuno si occupa di lavorare e studiare, dal tardo pomeriggio ci si dedica al relax.

La workcation non va confusa con il semplice “portarsi il lavoro in vacanza”, che solitamente ha invece il risultato di diminuire la piacevolezza della vacanza.

La workcation si situa in un punto intermedio: non è solo lavoro né solo vacanza, ma un insieme ben equilibrato (quando l’esperimento funziona) tra i due.

In un recente articolo pubblicato sull’Atlantic, la giornalista Gloria Liu si è occupata del tema, approfondendo le storie di alcuni “workcationer” e riportando il parere di diversi esperti.

«Quando ho parlato con i workcationer dell’era pandemica, molti mi hanno detto di sentirsi ringiovaniti, nonostante i loro viaggi non fossero particolarmente rilassanti. A fare la differenza era che all’improvviso si trovavano a lavorare 40 ore alla settimana, come sempre, ma nel frattempo esploravano un posto nuovo. Non si tratta di sostituire il tempo libero con queste esperienza, né lo scopo è favorire una fuga temporanea dalla propria vita. Al contrario, per i fortunati che possono permettersi di fare “vacanze di lavoro”, i viaggi possono essere un esercizio per cambiare la propria routine, calandola in un nuovo contesto».

Diversi studi, spiega Liu, dimostrano che le nuove esperienze aumentano la creatività, la motivazione e l’apprendimento. Secondo diversi esperti, pause brevi e regolari sono più importanti per la prevenzione del burnout rispetto a interruzioni lunghe e sporadiche. Una ricerca mostra che gli effetti di benessere di una vacanza svaniscono subito dopo il ritorno al lavoro, quindi è importante avere modi ricorrenti per ricaricare le riserve di energia. Per chi lavora a ritmi molto alti, prendersi una vacanza prolungata può peraltro essere una fonte di ansia in sé. Il fiume di mail e richieste non si fermerà mentre siamo via, quindi la strategia per fare fronte al carico di lavoro e all’ansia che ne deriva deve includere “micro-interruzioni”.

Ciò non vuol dire che le “vacanze di lavoro” possano o debbano sostituire le vacanze vere e proprie. Significa solo che, per chi può, integrare le due cose può portare benefici maggiori rispetto alla comune pratica di concentrare i momenti di distacco dal lavoro in uno-due momenti dell’anno, senza altre pause. «L’equilibrio è qualcosa di cui abbiamo bisogno ogni giorno, non una volta all’anno», scrive Liu.

Certo, sperimentare questa pratica con successo deriva anche dalla capacità di auto-organizzarsi le giornate in modo da creare dei “segmenti” di lavoro/vita privata chiaramente definiti. Uno studio del 2020 su 155 lavoratori che hanno trascorso la pandemia lavorando da casa, ha rilevato che coloro che, per esempio, avevano uno spazio fisico dedicato esclusivamente al lavoro o che usavano app che li avvisassero quando era il momento di spegnere il computer erano in grado di svolgere con più efficienza i propri compiti lavorativi e non lavorativi (come i doveri familiari).

«Il vero successo di una vacanza di lavoro – conclude Liu – sarebbe portarsi a casa le lezioni apprese».

(Foto di Claudio Schwarz su Unsplash)

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