di Riccardo Dell’Acqua

Quando si tratta di decidere quali criteri utilizzare per assegnare un appalto, si pone sempre un problema di oggettività dei parametri. In cosa un’azienda è più affidabile, competente, efficiente delle altre? Ci sono aziende migliori e peggiori in assoluto? O va scelta quella che più è in grado di portare a termine l’attività per cui si apre la gara? Oggettività nei criteri e terzietà (passateci il termine preso dall’ambito giuridico) dei componenti della commissione sono i problemi che più spesso si presentano quando in gioco ci sono interessi, concorrenza e molti, molti soldi. Avis opera nell’ambito della salute, e quindi è questo il perimetro di gioco che conosciamo meglio e su cui, complice l’insonnia, si sono concentrate le attenzioni di chi scrive. Alcune premesse sono necessarie prima di entrare nel vivo della questione. Vere prerogative del volontariato sono la tutela dei cittadini e dei beni comuni, lo stimolo critico e propositivo nei confronti delle amministrazioni pubbliche, la sperimentazione di nuovi servizi, l’educazione alla solidarietà.
Questi i principi: veniamo alla realtà dei fatti. Sappiamo che le condizioni della sanità sono cambiate e che le modalità di aggiudicazione delle centrali di acquisto sono spesso nelle mani di pochi per decisioni di “consolidamento”. Tutte le aziende del settore sanità hanno una sola preoccupazione: posizionarsi nel mercato e rimanerci, facendo valere tutte le peculiarità di sistema e tutte le relazioni in essere. Naturalmente, stiamo parlando di aziende che possono supportare in maniera adeguata la produzione, in termini sia qualitativi che quantitativi, con una struttura tale da sopperire a qualunque necessità dovesse emergere dal mercato. Lasciare tutto nelle mani di poche persone ha il rischio di vedere soddisfatto soltanto il bisogno particolare di qualcuno, contro quello della collettività. Spesso, questa situazione genera richieste tecniche in cui l’oggettività manca completamente. Prendiamo ad esempio alcune richieste comparse negli ultimi mesi a proposito dei capitolati d’appalto su opere che riguardano i separatori, le sacche per trasfusioni e i supporti di raccolta del sangue (bilancia, carrello) in Lombardia.
Prima domanda: perché fare tre gare di Consorzio, due delle quali (e molto probabilmente anche la terza) hanno lo stesso identico capitolato tecnico e diversi capitolati speciali con diverse regole amministrative per definire il fornitore finale? L’appalto era così strutturato: una gara con l’offerta che deve rispettare la base d’asta ed una con offerta che può superare la base d’asta; una con un solo aggiudicatario al cento per cento; l’altra con una modalità di aggiudicazione basata sull’“accordo quadro”, che permette l’aggiudicazione a due, o anche tre aziende in percentuali diverse. Non sarebbe stato meglio fare una gara regionale che seguisse le regole di aggiudicazione dell’“accordo quadro” in modo da avere richieste tecniche omogenee, dando la possibilità di fornitura a più aziende? Per assicurare l’omogeneità sarebbe bastato prevedere caratteristiche oggettive, che permettessero di avere prodotti con standard tali da poter lavorare con un’unica procedura regionale, se questo era l’obbiettivo. Ma qual era l’obbiettivo finale? Anche leggendo il capitolato tecnico viene da porsi questa domanda, visto che la maggior parte dei criteri sono soggettivi.
Relativamente ai separatori, ci chiediamo perché dare un peso così forte a criteri altamente soggettivi quali: a) possibilità di inserire commenti di frazionamento interfacciati ad Emonet = 4 punti qualità(?); b) scompositore in grado di pre-idratare il filtro per la leucodeplezione di globuli rossi = 4 punti qualità(??) (da notare che solo un’azienda sul mercato ha bisogno di questa funzione); c) possibilità di eliminare determinati emocomponenti direttamente sullo scompositore: perché? Se gli scompositori sono interfacciati, perché mettere una caratteristica che, di nuovo, facilita un’azienda rispetto alle altre?
In merito alle sacche: a) perché «1 punto al facile aggancio per separazione e/o infusione» Cosa vuol dire, oggettivamente, “facile aggancio”? b) Perché 3 punti alla «facilità d’inserimento del deflussore per le trasfusioni»? Chi definisce la “facilità d’inserimento” e come? Quale deflussore? c) «Protezione dell’operatore dalla puntura accidentale» = 3 punti. Questa è una caratteristica molto importante, ma come viene richiesta e definita? In modo molto generico: «presenza di sistema di sicurezza che consenta la copertura dell’ago… di facile utilizzo…». Qual è il “facile utilizzo”? d) «Qualità del dispositivo per la venipuntura/campionamento» = 4 punti. Molto importante, ma dove sono i parametri oggettivi di valutazione? (Esempio: tipo di sfaccettatura dell’ago, impugnatura, siliconatura…). e) Può essere ritenuto un criterio oggettivo di valutazione la «facilità dell’interruzione della soluzione di continuità cutanea da parte dell’ago»? Ancora, relativamente al “sistema di filtrazione”, perché mettere nelle caratteristiche indispensabili il «funzionamento a rete o a batteria ricaricabile»? (Anche qui, una sola azienda sul mercato garantisce questa caratteristica). È così importante regolare l’altezza automaticamente, quando comunque in routine si usa un tipo di sacca per il quale l’altezza è fissa e viene “fissata” una volta per tutte?
Per quanto riguarda la raccolta, perché dare un peso così sproporzionato al carrello portabilance, richiedendo caratteristiche molto specifiche che identificano un prodotto? a) Movimento ascendente e discendente comandabile dal piano portabilancia = 12 punti. b) Vano porta oggetti in posizione elevata = 13 punti. c) Ruotabile e movibile = 12 punti. Perché insistere su queste caratteristiche, quando sappiamo che il valore aggiunto viene dato da una bilancia tecnicamente valida, non dal suo carrello? Perché allora non fare un lotto separato per i carrelli, considerando il valore sociale che gli è stato attribuito (cioè evitare che gli operatori rimangano a casa per malattia dovuta a alla schiena o lombari)?
Infine, tornando alle considerazioni generali, perché non si è cercato di valutare la capacità ed idoneità delle aziende produttrici di farsi carico di forniture aventi la necessità di qualità e quantità costanti e continue? Si potevano inserire nelle valutazioni finali con punteggi importanti valori oggettivi quali: forniture europee in atto (garanzia di capacità e fornitura); numero di sacche prodotte all’anno (garanzia di capacità produttiva); certificazioni aggiuntive della produzione derivanti da visite ispettive di Società Trasfusionali (ad esempio: le Società Trasfusionali inglese e francese ispezionano con cadenza regolare i siti produttivi per selezionare le aziende che partecipano alle gare di fornitura).
Insonnia a parte, speriamo sia chiaro che a muoverci sono sempre e comunque le premesse fatte in apertura in merito alle prerogative del volontariato. Con in più la consapevolezza che ogni euro risparmiato o “non drogato” (cioè destinato dove è giusto che vada, non dove qualcuno vuole pilotarlo per interessi propri) si traduce in un miglioramento della qualità delle cure, per la salute e il benessere dei cittadini. Non ci interessa il nome di chi vincerà le gare d’appalto, per noi un’azienda vale l’altra. Ci preoccupa però che un metodo di assegnazione con criteri soggettivi o non coerenti possa fermare gli investimenti in ricerca e sviluppo dell’intero settore sanitario. Perché se un’azienda che vince impone i propri standard tecnici, vincolando le strutture a utilizzare solo macchinari di propria produzione per interfacciarsi alla propria attrezzatura, allora è come giocare ad asso piglia tutto. Gli investimenti si fermano, le aziende che non vincono la gara giusta sono costrette a ridimensionarsi, licenziare, chiudere. La parola d’ordine è oggettività, contrapposta alla discrezionalità che immancabilmente premia i decisori e i loro interessi, a discapito di tutti gli altri.
Vabbeh, cerchiamo di dormirci su, ma temiamo che l’insonnia tornerà a farci visita, aspettatevi altri post sull’argomento. Per ora buona notte.