Nella battaglia per i diritti delle coppie in Italia, si sta dimenticando una questione più silenziosa, ma altrettanto importante di quella per le unioni civili: le adozioni per le coppie con disabilità. Colpisce la gara a schierarsi a difesa della famiglia “tradizionale” da parte dei promotori del Family Day, la manifestazione che si è svolta sabato 30 gennaio a Roma. In questo genere di eventi si usano con disinvoltura parole dalla forte connotazione culturale, spacciandole per concetti immutabili nel tempo e nello spazio. Chi o cosa definisce cosa sia “naturale”? Quando è nata esattamente la famiglia “tradizionale”? Per quanto riguarda la prima parola, è molto pericoloso appellarsi al fatto che chi “naturalmente” non abbia la capacità di procreare vada escluso dal matrimonio. A livello etimologico, questa parola implica l’unione di due individui allo scopo di generare figli. Ma che dire nel caso delle coppie sterili? Andrebbe loro negato il matrimonio, in quanto incapaci di generare? Il problema si pone anche in merito all’adozione: se “naturalmente” non sono in grado di avere figli, chi siamo noi per interferire con le immutabili leggi naturali, affidando loro una prole a cui non hanno evidentemente diritto? Per non parlare poi delle coppie che si sposano e decidono volontariamente di non avere figli. Va loro tolto il “sacro vincolo” in quanto rinunciano a sfornare pargoli? Domande paradossali, ma in questo modo la questione si mostra in tutta la sua complessità.

Anche i più strenui detrattori delle unioni tra persone dello stesso sesso non potranno che convenire sul fatto che il concetto di matrimonio si sia evoluto nel tempo, e dunque il fatto di procreare o meno sia passato in secondo piano rispetto al vincolo che la coppia si impegna a mantenere e ai diritti che da questo scaturiscono. Ma veniamo a questioni più terrene e meno teoriche. In tanti (ma molti meno dei due milioni annunciati dagli organizzatori) si sono trovati al Circo Massimo di Roma essenzialmente per dire no alle unioni civili. È un peccato che si sia persa l’occasione per dire sì a un diritto troppo spesso negato alle coppie con disabilità: quello ad avere figli. È una questione controversa, ma di sicuro non è giusto che, nei casi in cui il problema fisico sia superabile, sia negato questo diritto alle coppie. Tanto fiato sprecato per influenzare i decisori politici al fine di impedire a chi si vuole bene di sposarsi e avere figli e diritti, indipendentemente dal genere, e non una parola su una questione tanto delicata. Ci si dimentica, o si vuole ignorare, il fatto che una famiglia non è felice perché ognuno è biologicamente strutturato in un certo modo (come dice la “natura”?), ma perché le persone che la compongono si vogliono bene. I tanti casi di separazioni e violenze domestiche che colpiscono le famiglie “tradizionali” dovrebbero bastare a capire che l’uomo è un essere complesso, e per dirimere le questioni più importanti non basta tracciare una linea per terra e sistemare i giusti da una parte e quelli che hanno torto dall’altra.

Bisogna andare a fondo nelle questioni, e avere il coraggio di prendere in considerazione opinioni diverse dalla propria. Senza dimenticarsi di chi ha una voce meno forte e dunque rischia di sparire: «Chiediamo – ha dichiarato Vincenzo Falabella, presidente di Fish in merito alla legge Cirinnà – che venga espressamente richiamato il rispetto dell’articolo 23 della Convenzione Onu che impone di eliminare le discriminazioni nei confronti delle persone con disabilità in tutto ciò che attiene al matrimonio, alla famiglia, alla paternità e alle relazioni personali. Abbiamo a mente molti episodi di discriminazione, in particolare, ma non solo, per quanto riguarda l’adozione e l’affido a persone con disabilità».

Spesso queste famiglie sono costrette ad adottare bambini all’estero, da Paesi in cui la disabilità non costituisce un discrimine nella scelta dei genitori. Il problema non riguarda solo lo stato di salute dei genitori: «Ci sono tanti casi in cui l’adozione o l’affido di un bambino viene valutato negativamente anche se i genitori che ne fanno domanda sono normodotati e perfettamente sani – dice il presidente della Fish – ma hanno già un bambino con disabilità. A questo punto, diventa più facile adottare un bambino all’estero, superando tutti i disagi legati alla lontananza dei Paesi, alle difficoltà di accesso degli istituti in cui si trovano i piccoli, degli alberghi e delle infrastrutture. Sembra paradossale, ma i tempi sono molto più corti, i Paesi sono più disponibili a dare in adozione i bambini e la disabilità di uno dei genitori non diventa elemento ostativo». Ecco, questo è un tipo di “diversità” che la legge dovrebbe tutelare perché, se anche si tratta di piccoli numeri, i diritti non sono meno importanti.

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