Alcune morti non fanno notizia. Non sono spettacolari, non hanno tutte le caratteristiche narrative che le renderebbero materia da prima pagina su quotidiani, tiggì, siti web. È il destino della tragica fine di Salvatore Saporito, vice prefetto di Napoli indagato nell’ambito di un’importante gara d’appalto e suicidatosi il 30 marzo con un colpo di pistola alla tempia. L’inchiesta riguardava presunti appalti pilotati per il Cen (Centro elaborazione dati della polizia di Stato) previsto dal Piano sicurezza, il programma speciale varato nel 2007 dall’allora ministro dell’Interno Giuliano Amato contro l’escalation criminale nel capoluogo campano. Il Cen, quando sarà realizzato, farà da “cervellone” informatico per la raccolta di tutte le informazioni  provenienti dai sistemi di sicurezza della città, uno strumento importante per intensificare la lotta alla criminalità organizzata.

Secondo l’accusa, ci sarebbero state delle anomalie nella scelta di assegnare il trasferimento del Centro dalla caserma di Conte della Cerra a quella dismessa di Capodimonte, un appalto da 37 milioni, assegnato al consorzio temporaneo di imprese guidato da Elsag Datamat, società del gruppo Finmeccamica (che non rientra nel registro degli indagati). La notizia è filtrata sottovoce tra i nostri mezzi d’informazione, confinata alle pagine interne e presto dimenticata. E purtroppo non viaggia da sola, come fa notare Conchita Sannino a pagina 24 de la Repubblica del primo aprile: «Una sinistra coincidenza lega infatti il tragico gesto di Saporito ad un altro suicidio, datato novembre 2008: quello dell’ex assessore comunale Giorgio Nugnes che, dopo essere stato arrestato nell’ambito di un’indagine sugli scontri dell’emergenza rifiuti, fu colpito anche da un altro avviso di garanzia: la stessa inchiesta che oggi travolge Saporito». Altri sono i temi che appassionano la doxa, ma intanto si perde di vista il fatto che viviamo in un Paese in cui stare nelle istituzioni porta a subire pressioni incredibili.

Che si tratti di persone innocenti o colpevoli, non sta a noi dirlo, ma alla magistratura. Intanto mettiamo in archivio un’altra morte sul lavoro, e lanciamo un appello ai mezzi d’informazione affinché siano più attenti a mostrare le sfaccettature di un’Italia in cui un’operazione prettamente logistica quale spostare un centro di elaborazione dati, porta a mettere in moto oscure dinamiche, e un vice prefetto a togliersi la vita. Così Giovanni De Mauro su Internazionale del 21 gennaio: «Un giorno qualunque come sabato scorso, 15 gennaio 2011, uno dei più importanti quotidiani italiani conteneva nelle prime 27 pagine, quelle che comprendono la politica, gli esteri, la cronaca e la società, otto notizie in tutto. Una di politica (Ruby), una di economia (Fiat), una di esteri (la Tunisia), tre di cronaca (beatificazione di Wojtyla, malasanità a Palermo, immigrazione a Milano), due di società (guerra ai fannulloni, sacchetti di plastica). Punto». Ora capiamo perché nelle città c’è fame di notizie, da volti credibili, come quelli di Roberto Saviano, Gino Strada, Beppe Grillo, che si occupano di temi cui i mezzi tradizionali non dedicano sufficiente attenzione. C’è fame di notizie, dicevamo, ma a che serve aprire gli occhi, quando intorno c’è solo fumo?