Il 2017 è stato un anno molto pesante dal punto di vista degli omicidi legati alla difesa della terra e dell’ambiente. Secondo il rapporto annuale pubblicato da Global Witness, almeno 207 persone sono state uccise per queste ragioni, la cifra più alta di cui si abbia notizia. Il settore più letale in questa terribile classifica è stato quello dell’agribusiness, con 46 persone uccise. A seguire i settori delle attività estrattive (40), la caccia di frodo (23), il contrabbando di tronchi d’albero (23) e lo sfruttamento di bacini idrici (4). Per agribusiness si intende qualsiasi attività i cui ricavi provengano principalmente dall’agricoltura. Normalmente sono imprese a larga scala coinvolte nella coltivazione e lavorazione dei prodotti; talvolta anche della loro fabbricazione e impacchettamento. Alcuni prodotti chiave dell’agribusiness includono bestiame, prodotti caseari, cotone, olio di palma, soia e zucchero di canna. Tutte cose con cui abbiamo a che fare ogni giorno.

Sono in aumento anche quelle che vengono definite “stragi”, ossia omicidi che riguardano più di quattro persone. Ne sono state registrate sette durante l’anno. In particolare, in Brasile si sono verificati tre episodi particolarmente drammatici, in cui 25 persone impegnate nella difesa della terra e dell’ambiente sono state uccise. Globalmente, quasi il 60 per cento degli omicidi si sono concentrati nell’America Latina, con in testa il Brasile (57 morti). In Asia, la cifra più alta si registra nelle Filippine, con 48 morti. Il Paese dove la situazione è peggiorata maggiormente rispetto all’anno precedente è il Messico, dove gli omicidi sono passati da tre a 15. Un aspetto che rende difficile controllare o arginare la situazione è la diffusa sensazione di impunità che circonda gli assassini. Peraltro, talvolta chi uccide lo fa su ordine di un governo, o di qualche milizia organizzata. I sospetti perpetratori degli omicidi sono stati gang criminali (32), soldati (30), polizia (23), forze paramilitari (13), cacciatori di frodo (12), altri (36).

Va detto che il numero totale di 207 persone, per quanto alto, è probabilmente una cifra sottostimata: è possibile che altri omicidi non siano stati rilevati o accertati, e dunque non siano finiti nel conteggio. Gli autori del report parlano infatti di “punta dell’iceberg”, per vari motivi. Uno è di tipo metodologico e riguarda i criteri che ogni caso deve rispettare per poter essere considerato. In alcuni Paesi, poi, ci sono gravi problemi di controllo dei media e di mancanza di copertura e documentazione dei casi, sia da parte dei governi che delle ong. Spesso, inoltre, le informazioni che arrivano dalle zone di conflitto sono confuse e contraddittorie.

Il lavoro di Global Witness non si propone solo di presentare i numeri, ma anche di istigare all’azione chi può fare in modo che la situazione cambi, e cioè principalmente i governi, le stesse compagnie e gli investitori. Le tre azioni più importanti per mettere in atto una qualsiasi politica di salvaguardia sono affrontare le cause di fondo del fenomeno, supportare e proteggere chi difende l’ambiente e la terra, assicurare che i responsabili siano puniti. Per quanto riguarda la prima, si tratta di interventi che guardano al lungo termine: combattere la corruzione, mettere al sicuro terre e diritti, anche collettivi, oltre a garantire che le comunità interessate da iniziative produttive siano correttamente informate sull’uso che si vuole fare delle loro terre, prima di dare il consenso. Dal punto di vista del supporto e della protezione, stati e imprese possono fare molto per riconoscere il ruolo dei difensori, mettendo loro a disposizione gli strumenti per portare avanti le loro campagne con efficacia e in sicurezza. Infine, è necessario che chi commette reati di questo tipo affronti delle conseguenze a livello politico, finanziario e giudiziario. Assicurare che i responsabili siano puniti è un passaggio fondamentale per prevenire futuri attacchi.