Per dare un’idea dell’inconsistenza della politica italiana degli ultimi anni, più che gli editoriali dei direttori delle grandi testate nazionali, spesso è utile affidarsi ai blog di specialisti di questo o quel settore, che più di altri sono in grado di leggere ciò che si nasconde dietro al burocratese dei vari articoli e commi che compongono leggi e decreti licenziati da Parlamento e governo. Che poi si tratta sempre di giornalisti, come nel caso di Carlo Mazzini, ma un conto è scrivere un articolo destinato al giornale cartaceo, con tutti i limiti di spazio e di tempo dettati dalle routine redazionali, un altro è pubblicare liberamente riflessioni e analisi su uno spazio teoricamente illimitato e non soggetto ad alcuna linea editoriale, se non la propria, qual è il blog.

Dopo questo breve preambolo, andiamo a vedere cosa scrive il giornalista in due post pubblicati il 26 e il 30 settembre. Nel primo si parla di stabilizzazione del 5 per mille e come sempre, purtroppo, la sostanza delle cose contrasta con l’ottimismo delle dichiarazioni che i parlamentari più coinvolti si affannano a rilasciare. In particolare, parlando del disegno di legge delega (ddld) che inviterà il governo a occuparsi della questione, Mazzini cita l’onorevole Luigi Bobba, che intervistato dal mensile Vita ha affermato che il testo in questione «fa ben sperare anche per un altro aspetto importante, ovvero l’eliminazione del “tetto” che ogni anno riduce i contributi che gli italiani destinano al non profit di una quota significativa». L’espressione che dovrebbe dare speranza al terzo settore è quella contenuta in fondo al secondo comma dell’articolo 4 del ddld: «Il Governo assicura […] la razionalizzazione e la stabilizzazione dell’istituto della destinazione del 5 per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche in base alle scelte espresse dai contribuenti» (corsivo nostro, ndr). Ma il giornalista, che su questa materia non si fa rabbonire da nessuno, ha scoperto che tale espressione era già contenuta nella prima legge che istituiva il 5 per mille ma, nonostante ciò, è stata tradita più volte nel corso degli anni: «Vado a rileggermi l’art. 2, c. 4-novies, dl 40/10 (quello che ha istituito i 5 per mille dal 2010 in poi in quanto “aggiornato” nelle date da disposizioni annuali) dove leggo, prima dell’elencazione delle tipologie di organizzazioni che possono accedere al 5 per mille, che “una quota pari al cinque per mille dell’imposta stessa è destinata in base alla scelta del contribuente alle seguenti finalità”, e nonostante questa magica frase i soldi li hanno decurtati. Cosa faccia ben sperare l’onorevole Bobba, quindi, non si capisce».

L’altro post che merita attenzione parla della fine dell’agevolazione fiscale sull’imposta di registro per le onlus: «Dal primo gennaio 2014 le onlus non godranno più dell’agevolazione fiscale relativa all’imposta di registro nell’acquistare a titolo oneroso degli immobili (168 euro), ma dovranno pagare l’equivalente del 9 per cento del valore di compravendita! Rimane -ci mancherebbe altro- l’agevolazione relativa all’acquisto a titolo gratuito degli immobili. Perché notizia vecchia? Semplice, perché la norma è il decreto legislativo 23 del 2011 (art. 10), regnante governo Berlusconi, mandante Tremonti». La questione pare molto tecnica, per addetti ai lavori, ma ha una sua rilevanza per farsi un’idea dell’atteggiamento della politica verso il non profit. Tutti se ne dichiarano “amici”, ma poi per raggranellare briciole si va a pescare dappertutto. E così le agevolazioni riconosciute negli anni non sono più diritti acquisiti, bensì concessioni che lo Stato ha il diritto di togliere quando gli pare. Segno, questo, anche della debolezza del non profit nella sua attività di lobbying verso la politica, nonostante l’ondata di candidature che ha trascinato in Parlamento molti rappresentanti del terzo settore nel corso delle ultime elezioni politiche. In coda al post, Mazzini elenca gli strappi più recenti che il non profit ha dovuto subire negli ultimi anni: «5 per mille, tariffe postali, imposta di registro, abolizione dell’Agenzia del terzo settore». Un’impressionante serie di errori politici che oggi permettono allo Stato di recuperare risorse, ma domani forse mineranno il principio di sussidiarietà, che si tradurrà in una riduzione di servizi essenziali alla collettività.