«Il 17 febbraio 1992 il presidente di uno storico istituto milanese di assistenza degli anziani viene arrestato in flagranza mentre intasca una mazzetta di sette milioni di lire pagata dal titolare di una piccola impresa di pulizie (il 5 per cento su un appalto di 140 milioni per le forniture alla casa di riposo). È l’inizio di Mani Pulite». Ma non la fine di un sistema corruttivo che purtroppo dilaga ancora oggi nel sistema sanitario italiano. La frase dell’incipit è presa dall’ultimo report realizzato da Transparency international Italia (scaricabile qui) dal titolo “Corruzione e sprechi in sanità – Unhealthy Health System”. Al suo interno una lunga e completa indagine che svela le enormi falle aperte nel nostro sistema, e fornisce dati e numeri di un fenomeno che mette a rischio la salute di milioni di cittadini, oltre a fare volatilizzare quantità di denaro pubblico che da sole, se recuperate, cambierebbero il volto della nostra sanità.
Sono cambiate le modalità, ma il sistema delle “mazzette” è ancora vivo e vegeto. «Secondo le più recenti stime sulla corruzione in sanità -si legge nel rapporto-, il tasso medio di corruzione e frode in sanità è del 5,59 per cento, con un intervallo che varia tra il 3,29 e il 10 per cento. Per la sanità italiana, che vale circa 110 miliardi di euro annui, questo si tradurrebbe in circa 6 miliardi di euro all’anno sottratti alle cure per i malati». Una cifra che da sola basterebbe a coprire il disavanzo di bilancio del Lazio. «Il report di Transparency identifica il ventre molle della sanità pubblica in cinque settori cardine -sintetizzano Simona Ravizza e Gianni Santucci su La Lettura del Corriere-: la spesa per i farmaci, i rimborsi alle strutture private, gli appalti, la lottizzazione dei dirigenti, le liste d’attesa». Queste le cinque aree su cui si concentrano i problemi maggiori, dove l’assenza o i problemi relativi al controllo incontrano una certa predisposizione all’illecito e al profitto personale in grado di influenzare la normale relazione tra strutture di cura e paziente.
Il rapporto tra Stato e strutture private, per esempio, espone il primo ad azioni rivolte a ottenere il massimo possibile di rimborsi, piuttosto che a fare esami e interventi davvero necessari ai pazienti. Lo Stato “compra” un certo ammontare di servizi sanitari dalle cliniche private ogni anno, e alle cliniche conviene fare soprattutto un certo tipo di operazioni, più remunerative, per aumentare i profitti. Così il sistema attrae soggetti interessati soprattutto ad avere un pezzo della torta, piuttosto che a mettere in funzione strutture per la fornitura di servizi. In merito alla spartizione delle cariche secondo le appartenenze politiche il rapporto è molto chiaro: «La lottizzazione politica della sanità è talmente evidente che nessuno è in grado di smentirla. […] Tutte le principali indagini di corruzione in sanità coinvolgono i vertici politici regionali, e le prove raccolte evidenziano la capillarità dell’ingerenza politica, che arriva dagli appalti più remunerativi fino alle assunzioni di un portantino o di un magazziniere». La causa originaria di questa modalità di gestione è da ricercare, più che nelle leggi (che pure andrebbero razionalizzate e uniformate), in una diffusa mancanza di cultura della legalità: «Il problema “non riguarda le regole, che pure esistono, ma gli uomini”», ha detto il procuratore di Pescara Nicola Trifuoggi. Le cose avvengono perché c’è un sistema che permette che succedano.
I controlli, che pure portano sovente a inchieste e arresti, risultano spesso inefficaci. Soprattutto perché si favoriscono quelli a posteriori, appunto le indagini, che quando ci riescono svelano l’illecito avvenuto quando il sistema ne è già stato inficiato, rispetto a strategie di prevenzione di tipo endogeno. «Il compito di combattere la corruzione viene quindi scaricato su chi ha la funzione di controllare il rispetto della legge, cioè le forze dell’ordine, i pubblici ministeri ed il settore giudiziario. Questo genera “una deformazione del rapporto tra le strutture giudiziarie e quelle della pubblica amministrazione”, che sbilancia il sistema di equilibrio tra i poteri dello Stato e comporta che la domanda di giustizia abbia ormai assunto proporzioni smisurate rispetto alle capacità che l’apparato giudiziario può offrire». Da ultimo c’è lo strumento dell’opacità, altra arma a disposizione di chi approfitta dei più deboli. Siccome c’è poca trasparenza, si possono proporre in tutta tranquillità ai pazienti strade “alternative” (a pagamento) per le cure di cui hanno bisogno.