Per molte persone l’estate è l’occasione per ritrovare il piacere della lettura. Almeno nel cliché più chiaramente scolpito nei nostri cervelli in fuga (dalla città e dal lavoro), questo è il momento dell’anno in cui i tempi si dilatano, i ritmi rallentano, la mente riprende ossigeno. C’è chi, prima di partire, fa il pieno di libri (che dall’anno prossimo potrebbe essere meno generoso, vista l’imminente introduzione della legge che limita gli sconti), e chi ogni giorno va in edicola a comprare il giornale, per poi spiaggiarsi, riparato da un’ombrellone e da una muraglia di carta. Sacri rituali, guai a mettersi in mezzo. E a leggere i quotidiani in questi giorni, ci si rende conto che c’è chi lavora, rinunciando alle vacanze (“meritate” ve lo risparmiamo): i nostri politici. I conti del Paese sono in rianimazione, l’economia affoga sotto i debiti. Eppure, certe voci di spesa del bilancio non vengono toccate, anzi, sembra proprio che siano dimenticate da tutti: politici, giornalisti, opinionisti e presentatori d’ogni spiaggia e lido. Su tutte, quella sul finanziamento pubblico ai giornali. L’Italia ha trovato uno strano modo di interpretare il diritto all’informazione sancito dall’articolo 21 della Costituzione. Non sono bastate Mani Pulite e, più recentemente, le inchieste di Report per far cambiare la rotta. Si è ristretta un pochino la porta di accesso ai fondi, ma di traffico ce n’è sempre tanto. I numeri non fanno ormai clamore rispetto alla falla di 45 miliardi che l’Europa ci ha chiesto di chiudere -si parla infatti di 180 milioni di euro- ma il principio resta. Quello editoriale è un settore che, come tanti altri in Italia, è cresciuto male, perennemente legato ai contributi pubblici. È ora (usiamo una parola in auge in questi giorni) di darci un taglio. Dà ancora più fastidio, lasciatecelo dire, riflettere sulla questione alla luce dell’interruzione del regime di agevolazioni sulle tariffe postali per le onlus. Come abbiamo denunciato più volte, da alcuni mesi inviare il nostro “A tu per tu” ci costa quanto alla Rcs, Mondadori, Gruppo Espresso. Con la differenza che nessuno ci paga per realizzarlo. Ricordiamo, in chiusura, le parole di Francesca Martini, sottosegretario al Ministero della salute, alla 75esima Assemblea nazionale dell’Avis: «Senza dubbio alcuno prendo a cuore la questione, perché ritengo che la stampa associativa, per il ruolo che riveste in fatto di promozione dei valori del volontariato, vada incoraggiata. Se non a costo zero per la spedizione, comunque a costi più contenuti». Tutto fila, ma solo a parole.