L’8 aprile, l’Organizzazione mondiale della sanità annunciava che il programma COVAX, a 42 giorni dall’inizio della campagna, aveva consegnato dosi di vaccini contro il coronavirus a 100 paesi nel mondo. Un risultato certamente positivo, ma in un quadro molto complesso.
Cos’è COVAX
COVAX è un’iniziativa globale impegnata a rendere disponibili i vaccini contro il COVID-19 al maggior numero di paesi al mondo, a partire da quelli poveri, ma senza escludere quelli sviluppati (Regno Unito e Australia riceveranno oltre mezzo milione di dosi ciascuna entro giugno). È formato da un’alleanza che comprende Oms, Unicef, Gavi e altri partner. A sua volta, COVAX è una delle azioni dell’ACT-Accelerator, ossia il programma di accesso agli strumenti per la lotta al COVID-19 che punta ad accelerare lo sviluppo, la produzione e l’accesso equo a test, farmaci e vaccini contro il coronavirus. È un sodalizio nato in seguito a un’esortazione espressa dai leader del G20 a marzo del 2020 e messa in piedi dall’Oms, la Commissione europea, la Francia e la Bill & Melinda Gates Foundation nell’aprile dello stesso anno.
Attualmente COVAX ha consegnato oltre 38 milioni di dosi in sei continenti, fornite da tre case farmaceutiche (AstraZeneca, Pfizer-BioNTech e Serum Institute of India). Il primo paese a beneficiare del programma è stato il Ghana a febbraio 2021, l’ultimo l’isola caraibica di Santa Lucia. Nonostante una riduzione delle disponibilità di vaccini tra marzo e aprile, i promotori dell’iniziativa contano di riuscire a supportare tutti i paesi che hanno fatto richiesta di accesso al programma entro la prima metà del 2021. Entro la fine dell’anno, le dosi distribuite da COVAX complessivamente dovrebbero superare i due miliardi, e per riuscirci il consorzio sta stringendo ulteriori accordi con altre case produttrici.
Non è tempo di festeggiare
Nonostante la comprensibile euforia per il risultato raggiunto, le difficoltà restano, come ha ammesso Henrietta Fore, direttrice esecutiva dell’Unicef: «Adesso non è tempo di festeggiare, ma di accelerare. Con l’emergere di varianti in tutto il mondo, dobbiamo aumentare il ritmo della campagna. È necessario che i governi, insieme ai partner dell’iniziativa, prendano le misure necessarie a incrementare la disponibilità di vaccini, semplificando le barriere costituite dai diritti intellettuali legati ai vaccini, eliminando le restrizioni all’esportazione di vaccini e donando le dosi in eccesso il più in fretta possibile».
Ma ci sono altri limiti che riducono sensibilmente l’impatto positivo della campagna. Innanzitutto le difficoltà dei singoli paesi nel gestire e somministrare le dosi in arrivo. Come ha spiegato al Washington Post un membro dell’Unione Africana, «Una volta che i vaccini arrivano in aeroporto, la responsabilità di COVAX finisce». Sta a chi riceve, dunque, organizzarsi per assicurare la distribuzione delle dosi. Il problema è che in molti casi i destinatari sono paesi che soffrono di una carenza di servizi e personale sanitario che nasce ben prima della pandemia, ed è quindi molto difficile organizzare per tempo le risorse necessarie ad assicurare l’inoculazione. Il timore è che, al fine di riuscire nell’impresa, i paesi più in difficoltà decidano di assegnare tutto il personale sanitario disponibile alla campagna vaccinale, trascurando il resto della sanità.
Secondo dati della Banca Mondiale, le comunità dell’Africa sub-Sahariana possono contare su 0,2 medici ogni mille abitanti, rispetto ai 2,6 del Nord America o i 3,7 dell’Europa. Come sottolinea l’Oms, la pandemia ha tratto vantaggio da disuguaglianze e difficoltà sanitarie dei sistemi sanitari dei diversi paesi. È dunque di vitale importanza che i governi di tutto il mondo investano sulla salute e sulla rimozione delle barriere che limitano l’accesso di tante persone ai servizi.
(Foto di USAID in Africa su flickr)
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