Negli ultimi trent’anni, la medicina di genere ha compiuto un radicale percorso di trasformazione, passando da un approccio tutto incentrato sull’organismo maschile a un modello inclusivo che studia le differenze di sesso e genere come determinanti della salute. Ne scrive Emilie Sartorelli su Scienza in Rete.

Da quando The Yentl syndrome (1991) della cardiologa Bernardine Healy ha definitivamente sconquassato l’impianto androcentrico della medicina occidentale, illusoriamente “neutro e universale”, gli ultimi tre decenni hanno visto affermarsi l’urgenza di studiare e comprendere come le differenze di sesso e genere influenzino i determinanti medici e non medici della salute. La medicina di genere ha vissuto una rapida evoluzione, emancipandosi dall’ambito della salute femminile relegata ai soli aspetti riproduttivi, per divenire un approccio correttivo e trasversale alla ricerca, la sperimentazione, la prevenzione, la diagnosi e il trattamento medico-clinico. Contestualmente, il principio dell’equità di salute si è espanso vertiginosamente lungo la direttiva del riconoscimento delle specificità, arrivando a reclamare una medicina “a misura di ogni persona”.

La necessità di valorizzare le specificità di sesso e genere nel complesso degli studi e della pratica medica ha reso la questione della raccolta, comparabilità ed elaborazione di dati disaggregati più impellente di quanto già non fosse. Negli ultimi dieci anni la promozione di nuovi standard per la produzione e la trasmissione di conoscenze riguardo sesso e genere ha caratterizzato una parte considerevole degli sforzi per innovare programmi sanitari e linee guida, sia a livello nazionale che internazionale. Per quanto passate sotto i radar del vasto pubblico, uno degli esempi più recenti ed emblematici è stata la diffusione e l’adozione – anche da parte dell’OMS all’inizio del 2024 – delle raccomandazioni GATHER (Guidelines for Accurate and Transparent Health Estimates Reporting) e SAGER (Sex And Gender Equity in Research). Quest’ultime, nate nell’alveo dell’editoria scientifica europea nel 2016, si propongono oggi come procedura di riferimento per la progettazione, l’attuazione e la comunicazione della ricerca, al fine di riportare informazioni su sesso e genere in modo completo: dal disegno di uno studio, all’analisi dei dati, ai risultati e alla loro interpretazione. Inoltre, tra le raccomandazioni non mancano quelle che invitano a contestualizzare e segnalare sistematicamente le eventuali mancanze degli studi ai quali si fa riferimento. All’intenzione di impiantare una nuova prassi, aggiornata a una più ricca comprensione della salute in termini di sesso e genere, si aggiunge dunque il tentativo di far emergere i limiti, ma anche i margini di miglioramento, degli studi del passato. La speranza è di poter così mappare e sanare più rapidamente i punti ciechi delle conoscenze già acquisite.

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(Immagine da freepik)

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