Sono tornati quasi tutti in servizio i giovani volontari impegnati nel servizio civile universale. Il Dipartimento per le politiche giovanili ha pubblicato un report che analizza l’andamento della situazione negli ultimi mesi, che conferma come la situazione stia tornando ai livelli pre-pandemia. Tra le tante attività interrotte a causa del coronavirus, anche il servizio civile universale ha infatti subito una pesante interruzione. A differenza di metà aprile, quando erano tornati in attività circa 23.600 giovani (il 76 per cento del totale), oggi siamo al 96,15 per cento. Il grafico di seguito mostra bene l’evoluzione della situazione.

Dopo il picco negativo di fine marzo, quando solo un decimo dei volontari era in servizio (e tra questi i ragazzi di Avis Legnano), la situazione è progressivamente migliorata. Restano 831 persone che non sono riuscite ancora a riprendere, ma la maggior parte degli enti si è organizzata per dare seguito ai progetti. Certo non tutto è come prima, come si può notare dalla tabella qui sotto.

Poco meno di un terzo dei progetti è ripreso in una formula “rimodulata” rispetto agli accordi iniziali. Erano il 44 per cento a metà aprile, quindi il tentativo di tornare alla normalità è evidente. Probabile però che molti progetti che prevedevano attività oggi considerate non sicure siano destinati a concludersi in modalità diverse da quelle inizialmente concordate. In ogni caso la tendenza è positiva e riflette lo sforzo degli enti di riprendere per quanto possibile le attività ordinarie.

Il grafico qui sopra mostra come il ricorso all’attività da remoto sia stata una soluzione molto utilizzata nei mesi scorsi, mentre oggi si sta tornando a un impiego per la maggior parte in presenza. Il 41 per cento dei volontari lavorava in modalità “agile” a metà aprile, mentre a metà luglio solo il 16 per cento. Al contrario, l’attività sul campo è salita dal 32 al 57 per cento nello stesso periodo. Costante, pari a poco più di un quarto del totale, la quota di coloro che sfruttano entrambe le modalità.

Problemi strutturali

A fronte di una situazione complessivamente positiva per quanto riguarda la ripresa dei progetti, i segnali che arrivano dalla politica rispetto al futuro del servizio civile universale sono piuttosto contrastanti. È una storia già vista negli anni scorsi, qualunque fosse il colore politico della maggioranza al governo. Prima si fanno proclami sull’importanza del servizio civile, poi al momento di prendere le decisioni si gioca al ribasso, e si rinuncia alle occasioni buone per fare crescere (oltre che sopravvivere) questo importante patrimonio. Come si legge su Vita, infatti, «Il 28 giugno è stato ritirato l’emendamento 15.4 [al decreto “Rilancio”], presentato dall’onorevole Francesca Bonomo e da altri parlamentari del partito Democratico, che puntava ad aumentare di 108 milioni di euro per quest’anno, di ulteriori 99 milioni per il 2021 e di 104 per il 2022, il fondo per il Servizio Civile Universale. Era l’ultimo rimasto dei 7 emendamenti presentati nelle scorse settimane da parlamentari sia della maggioranza che dell’opposizione a sostegno del servizio civile universale. Così, il “Rilancio” (C. 2500) ad oggi vede uno stanziamento aggiuntivo di solo 21milioni di euro, originariamente previsto dall’art. 15 ed emendato in extremis per 1 milione di euro in più (avete letto bene, 1 milione di euro, sembra una barzelletta), che permetteranno di finanziare con i 193 milioni già in dotazione, stando larghi, 40mila posti di servizio civile nel prossimo bando per i giovani atteso a fine anno. Un quinto in meno di quelli indicati da Spadafora, 23mila in meno rispetto a quelli che gli enti erano pronti ad assicurare e 44mila in meno rispetto alle domande dei giovani fra i 18 e i 28 anni che, se le parole hanno un senso, in nome dell’universalità dell’istituto avrebbero tutto il diritto (con beneficio per l’intera comunità come ci ha ricordato Spadafora) di accedere a uno dei progetti del servizio civile universale».

(Foto di Tim Mossholder su Unsplash)