Il sindaco di una città statunitense ha messo in pratica un anno fa un programma per offrire lavori giornalieri ai mendicanti della città. Grazie all’iniziativa già 100 persone, che avevano smesso di cercare un lavoro, ora ne hanno uno fisso. Molti altri sono entrati a conoscenza di programmi di assistenza a cui non sapevano di avere diritto. Perché non provare a replicare l’esperienza? L’idea di Richard Berry, il sindaco Repubblicano di Albuquerque, New Mexico, non è presa da libri di testo, bensì da una sua precedente iniziativa, che prevedeva di girare per la città a dialogare con le persone più povere in modo da metterle in contatto con i servizi di cui avevano bisogno. Man mano che imparava a conoscere quelle persone, e apprendeva la storia delle loro vite, Berry capiva che un luogo comune molto diffuso negli Usa (ma probabilmente anche in Italia) era falso: chi chiede l’elemosina non è pigro, né furbo.

Nella maggior parte dei casi si tratta di persone scoraggiate dalla vita, che hanno smesso di credere in se stesse, e dunque sono entrate in una spirale di passività che impedisce loro anche solo di rispondere a un annuncio di lavoro. Il lavoro dell’amministrazione, come spiega un articolo del Washington Post tradotto dal Post, consiste nell’offrire a dieci persone per volta, reclutate direttamente per strada, un lavoro giornaliero con una paga dignitosa (9 dollari all’ora), il pranzo e un posto dove dormire la notte dopo aver lavorato. Il servizio viene effettuato grazie alla collaborazione di un’associazione, che mette a disposizione un furgone. Le uscite sono state inizialmente due a settimana, ora portate a quattro. «A meno di un anno dal suo inizio – si legge nell’articolo –, il programma ha fornito 932 lavori, in cui sono stati raccolti 31.570 chili di rifiuti e erbacce da 196 isolati di Albuquerque. Oltre 100 persone, inoltre, hanno trovato un’occupazione fissa. “Si riesce a capire la spirale che ha fatto finire queste persone agli angoli della strada. A volte hanno bisogno di un piccolo stimolo per fermare questa spirale negativa, per riuscire a respirare un po’: è una cosa eccezionale”, ha detto Berry in un’intervista. “Per un giorno hanno la dignità di un lavoro. Per un giorno c’è stato qualcuno che ha creduto in loro”».

Il lavoro ha quindi svariate ricadute positive, dirette e indirette: rende più bella e curata la città, può servire a mettere in moto una spirale di positività in persone che avevano tagliato i ponti con la società, nonché cambiare la percezione che molte persone hanno del fenomeno dei senzatetto.

Pensare che l’elemosina sia una scelta di comodo, per quanto assurdo, è opinione diffusa, e la reattività con cui la maggior parte dei senzatetto coinvolti ha aderito dimostra il contrario: «Quando sono stati avvicinati con un’offerta di lavoro, la maggior parte dei mendicanti di Albuquerque si è dimostrata desiderosa di avere l’opportunità di guadagnare dei soldi, ha raccontato Berry: avevano solo bisogno di un passaggio. Un uomo ha raccontato a Berry che erano 25 anni che non si sentiva dire una parola gentile». Inoltre, nella convinzione di non avere diritto a nulla, queste persone non sanno nemmeno che ci sono programmi rivolti a loro e ai loro problemi, per esempio di salute o di abuso di droghe. La disinformazione li porta a non usufruire di programmi per cui l’amministrazione e lo Stato hanno stanziato fondi.

Questa storia è interessante per vari motivi, e dovrebbe interessare molti sindaci italiani che con questioni simili hanno a che fare tutti i giorni. Anche per le nostre strade ci sono tante persone, italiane e non, che chiedono l’elemosina. Molte di loro danno fastidio a qualcuno, tanto che alcuni sindaci hanno emesso ordinanze per vietare l’elemosina in alcune zone delle città che amministrano. Con finanziamenti non enormi si potrebbero attivare programmi simili a quello di Albuquerque, in collaborazione con le associazioni che già si occupano di mettere in contatto i senzatetto con opportunità di lavoro.

Le ricadute positive sarebbero probabilmente talmente grandi da giustificare ampiamente la spesa. Finora in Italia siamo riusciti solo a produrre un dibattito non molto fruttuoso su un argomento leggermente diverso ma correlato, ossia l’impiego dei richiedenti asilo in lavori di pubblica utilità da svolgere gratuitamente. A livello psicologico, il meccanismo del lavoro gratuito è un po’ diverso, perché si chiede in sostanza all’immigrato di rendersi utile come contropartita di ciò che il Paese gli sta dando (asilo e protezione). Molte volte, anche in questo caso, le persone coinvolte sono ben contente di dare il proprio contributo, invece di passare vuote giornate in attesa che la loro pratica burocratica riceva una risposta. Resta il fatto che un programma coordinato a livello nazionale potrebbe, con costi contenuti, dare lavori giornalieri (retribuiti) a queste persone, oltre che ai senzatetto. Sarebbe un ottimo modo per innescare dinamiche virtuose in termini di recupero psicologico e di riabilitazione sociale ed economica di una fetta di popolazione che è tra le più deboli.

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