Il 27 e 28 gennaio si terrà a Trieste un incontro che sancirà la fine degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), definita l’ultima “istituzione totale psichiatrica” presente nel nostro Paese. Si tratta di una tappa importante di un percorso cominciato da lontano, dalla legge “Basaglia” del 1978 che ordinò la chiusura (o meglio l’apertura, ma solo per permettere l’uscita dei degenti) dei manicomi. Da anni (la prima scadenza di legge era prevista per il 2013) si cerca di portare a termine il superamento dei manicomi criminali, con il passaggio temporaneo e residuale dei pazienti nelle Rems (Residenze per l’esecuzione delle misura di sicurezza sanitaria), le strutture allestite dalle regioni per fare da tramite tra la detenzione e il passaggio a un percorso di assistenza “deistituzionalizzato”.

I motivi di soddisfazione per chi opera in questo delicato settore sono molti, e in questo passaggio che sta per compiersi un ruolo importante viene riconosciuto al commissario straordinario Franco Corleone, che a febbraio terminerà il suo mandato.

In realtà c’è ancora un territorio problematico, la Sicilia, in particolare l’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), tuttora in funzione perché la Regione non ha provveduto a rendere operative le strutture alternative necessarie. L’associazione StopOpg ha già pubblicato una lettera rivolta ai diretti interessati, affinché provvedano agli adeguamenti. «Ci risulta che nell’ex Ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto siano ancora internate 13 persone – si legge nella lettera –, di cui 8 con misura di sicurezza definitiva e 5 con misura di sicurezza provvisoria». E ancora: «Le 13 persone ancora in Opg con misura di sicurezza, all’inizio di gennaio 2017, sarebbero dovute transitare nella seconda Rems di Caltagirone dell’Asl di Catania. Sembra invece che l’apertura della seconda Rems capace di accogliere nove uomini e nove donne, non potrà avvenire che nel mese di maggio 2017. Tutto questo significa che le 13 persone restano ancora internate ingiustamente nell’ex Opg mentre potrebbero già oggi essere prese in carico dai Dsm (Dipartimenti di salute mentale) di appartenenza nelle proprie residenze, oppure potrebbero transitare nelle due Rems già operative ogni qualvolta viene dimesso un soggetto al posto di persone con misura di sicurezza del territorio».

Al momento non ci sono risposte chiare sul perché di questo ritardo. Lo stesso commissario straordinario ha detto a Redattore Sociale di essere in attesa di spiegazioni e provvedimenti: «Mi avevano assicurato che per il 20 dicembre la Rems di Caltagirone avrebbe potuto accogliere gli altri dell’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto, poi ci sono stati problemi e quindi i ritardi. All’assessore alla Salute della Regione Sicilia, Baldo Gucciardi, ho inviato già due lettere, ma ancora non c’è nessuna risposta ufficiale».

A Trieste dunque si rischia di “stappare la bottiglia” mentre alcune persone sono ancora recluse in un istituto che per legge non dovrebbe più esistere già da quattro anni. Incongruenze italiane, viene da dire. Peppe Dell’Acqua, psichiatra che era nell’équipe di Franco Basaglia, si esprime su Forum salute mentale con parole di soddisfazione, ma anche di timore per ciò che sarà del mondo della salute mentale in Italia: «La legge 81 e la fine degli Ospedali psichiatrici giudiziari è certamente un successo per tutti noi e, una volta di più, la conferma che i Dsm, con i loro (tanti e bravissimi) operatori, convenientemente motivati, possono affrontare queste e altre sfide. Vedere l’ultimo internato lasciare l’istituto dimostra che bene o male esiste un sistema di salute mentale di comunità; e che ancora e molto si dovrà investire per vedere realizzati nelle pratiche cambiamenti ulteriori, e urgenti. Malgrado debolezze, distorsioni e miserie umane e operative».

Fin qui gli aspetti positivi, ma le incertezze per il futuro sono ancora tante: «Le cose della salute mentale nel nostro paese vivono momenti difficili e, benché siano evidenti le buone leggi, gli impensabili mutamenti istituzionali, le culture critiche, le isolate buone pratiche e il generoso impegno di tanti operatori e cittadini, il rischio della prepotente occupazione del terreno da parte delle psichiatrie del cervello, dei farmaci, delle pericolosità, delle contenzioni è, quanto mai prima d’ora, una presenza inquietante. Ma è soprattutto l’assenza di un confronto partecipato all’interno della nostra comunità che mi inquieta ancora di più. La mancanza di un pensiero critico che aiuti a orientarci, a collocarci, ad affermare fuori dai luoghi comuni, il senso e la ragione di una scelta di campo».

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