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«Un segnale forte, significativo e concreto dalle Istituzioni ai cittadini». Così ha definito il presidente del Senato Pietro Grasso l’abolizione dei vitalizi per i parlamentari condannati in via definitiva per reati gravi – come quello di mafia o terrorismo, o reati contro la pubblica amministrazione – con pene superiori ai due anni. Lo stesso vale per chi abbia commesso reati meno gravi (la cui pena massima sia superiore a sei anni) e sia stato condannato in via definitiva. Il documento approvato è il risultato di una trattativa molto lunga, che ha richiesto numerose riscritture e correzioni volte ad attenuare gli effetti del provvedimento. Per esempio, una clausola che ha fatto piovere numerose critiche al testo è quella che consente la “riabilitazione” del condannato, che può essere richiesta dopo tre anni dalla fine della condanna «(o dopo 8 o 10 anni in caso di reati gravissimi e di recidiva) e, qualora venga concessa, il vitalizio potrà essere ridato perché la fedina penale torna ad essere pulita».

Strano che sia mancato l’accordo unanime su un dispositivo che da un lato permette allo Stato di risparmiare qualche milione di euro e dall’altro dà un segnale di civiltà alla popolazione, alla quale arriva il messaggio che finalmente i soldi versati dai cittadini per le tasse non andranno nelle tasche di chi si è macchiato di crimini contro lo Stato o comunque di grave entità. Addirittura si è assistito «al duro intervento in Aula dell’ex tesoriere dei Ds Ugo Sposetti secondo il quale “ci si sta sempre più piegando all’antipolitica”». Ormai quella dell’antipolitica è la foglia di fico dietro alla quale nascondere il fastidio per quelle norme che perseguono un principio di onestà che non dovrebbe far paura a nessuno. Lasciamo perdere poi chi sfrutta ogni occasione per spostare l’attenzione altrove, come chi si è indispettito per lo strumento scelto per l’approvazione della norma, ossia una delibera da parte degli uffici di presidenza di Camera e Senato, mentre avrebbero preferito che fosse una legge a regolare la materia. Questi stessi, fa notare La Stampa, «sembrano dimenticare come [la delibera] sia stato lo strumento con il quale i vitalizi vennero introdotti».

Nonostante tutto, non si può negare che si tratti di un segnale positivo da parte della classe politica (almeno una parte) ai cittadini. Peccato che dal lato del sistema sangue la prima stia dando segnali decisamente negativi. Come abbiamo scritto qualche giorno fa pubblicando il comunicato di Civis, il governo ha infatti proposto alla Conferenza Stato-Regioni una serie di tagli alla sanità, tra cui anche il settore trasfusionale. Ciò che stupisce è come sia possibile ridurre tutto il sistema delle associazioni che si occupano di sangue, Avis in primis con i suoi quasi novant’anni di storia, a fornitori di beni e servizi. Questo sì che è un segnale, un brutto segnale, sul grado di senso civico di questo governo e sulla sua sensibilità verso le associazioni che affiancano e integrano il sistema sanitario nazionale, dando un apporto decisivo per la salute dei cittadini. La notizia risale al 16 aprile e da allora non ci sono state risposte precise in merito alle reali intenzioni del governo. Per il momento si rileva che «fra i tagli alla spesa previsti dalla “Manovra sanità 2015” relativi alla “Rinegoziazione contratti acquisto di beni e servizi”, sono indicate le voci “Sangue ed emocomponenti” (B.1.A.2.2 e B.1.A.2.3) e “Contributi ad associazioni di volontariato” (B.2.A.14.1)», come ha fatto notare Giuliano Grazzini, direttore del Centro nazionale sangue, in una lettera pubblicata su Quotidiano sanità.

Ciò che stupisce di più è la mancanza di coscienza dell’importante e lungo percorso fatto dall’associazionismo che si occupa di sangue per trovare riconoscimento nel quadro normativo sanitario italiano. «Le norme sanciscono, infatti, che il sangue ed i suoi componenti rappresentano un patrimonio etico della Nazione – spiega Grazzini –, di insostituibile valore strategico per l’assistenza sanitaria, tanto che la stessa Legge 219 del 2005, all’articolo 5, stabilisce che tali prodotti sono a tutti gli effetti compresi nei “Livelli essenziali di assistenza sanitaria in materia di attività trasfusionale”». Mettere a rischio il sistema con una proposta arbitraria di rinegoziazione della fornitura di sangue ed emocomponenti rende bene l’idea di come tutto il mondo che Avis rappresenta sia percepito dalla politica come un normale fornitore di servizi, e non come risorsa per il Paese. Beh, buono a sapersi, almeno anche da queste parti è arrivato un segnale forte dalle istituzioni ai cittadini.