In giurisprudenza vige il principio generale dell’onere della prova: chi vuole affermare l’esistenza di un fatto, deve fornire le prove per dimostrarlo. Di questi tempi (giusto ieri riprendevamo l’intervento di Baricco sulla post-verità, conviene rassegnarsi al fatto che ne parleremo spesso), in particolare per quanto riguarda la questione delle accuse alle ong impegnate nel Mediterraneo di essere in rapporti “d’affari” con gli scafisti, sembra invece che il principio sia ribaltato. Qualcuno ha detto che ci sono indizi, piste, contatti.

Prima ancora di capire e verificare la fondatezza di tali pesantissime accuse, c’è già chi le ha prese per buone, e aspetta solo che le ong confessino le loro colpe. Si sa, ognuno tende a credere alle notizie che confermano ciò che già pensa, quindi è normale che di fronte a un’ipotesi del genere qualcuno abbia reagito esultando: «a-ha!». È bene ricordare che le accuse in questione nascono da un rapporto interno di Frontex (l’agenzia europea che si occupa del controllo dei confini), pubblicato alla fine del 2016 dal Financial Times. In esso «venivano citati tre episodi, senza date, nomi o altri dettagli. In un caso, scriveva Frontex, alcuni migranti avevano ricevuto indicazioni al momento della partenza dalle coste libiche su dove avrebbero potuto trovare una nave delle ong. Nel secondo, Frontex dice di aver ricevuto informazioni su un caso di trasbordo diretto di migranti da un’imbarcazione di trafficanti a una nave delle ong. Nel terzo si parla di alcuni migranti che sarebbero stati avvertiti dal personale di una ong di non collaborare con la guardia costiera italiana o con gli uomini di Frontex». Un successivo rapporto ufficiale dell’agenzia aveva espresso critiche molto più contenute, citando solo il problema delle conseguenze indirette dei salvataggi in mare.

Secondo Frontex, la legittima attività delle ong aveva come «conseguenza non voluta» quella di attrarre i trafficanti di esseri umani, spinti ad avviarsi con imbarcazioni sempre più insicure e pericolanti. Si dice inoltre che «tutte le parti coinvolte nelle operazioni di salvataggio nel Mediterraneo centrale contribuiscono senza volerlo ad aiutare i criminali a raggiungere i loro obiettivi». “Tutte le parti coinvolte” non sono però solo le ong, bensì anche la Guardia costiera italiana, la stessa Frontex e qualunque altra nave coinvolta in missioni di pattugliamento della costa. Potranno essere considerazioni controverse, ma sono ben lontane dall’essere un’accusa diretta alle ong. Sono invece sparite dal rapporto i riferimenti più critici riportati nel documento diffuso dal FT. Stiamo dunque cadendo nello stesso errore degli accusatori, affermando che tra le ong sicuramente non sono mai avvenuti atti illeciti o contatti con gli scafisti? Non ci pensiamo nemmeno. Ma resta l’onere della prova. Quando gli accusatori forniranno prove per dare corpo alle loro accuse, saremo disposti a cambiare idea. Fino ad allora restano calunnie, ipotesi, complottismi.

Il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, ha fatto dichiarazioni francamente sconcertanti, arrivando a dire che il finanziamento alle ong arriverebbe direttamente dalle organizzazioni criminali che si occupano dei viaggi in mare, con un obiettivo ben preciso: «Destabilizzare l’economia italiana per trarne dei vantaggi». Sarebbe bello che le indagini si svolgessero più nelle procure e meno nei salotti televisivi, perché dichiarazioni del genere, riprese decine di volte in decine di articoli, contribuiscono a formare un’opinione nelle persone, a prescindere dalla loro veridicità. In una sede più istituzionale, il Senato della Repubblica, il procuratore di Siracusa Francesco Paolo Giordano ha smentito tali ipotesi, alla luce delle indagini fatte dal suo ufficio: «A noi come ufficio non risulta di asseriti collegamenti, obliqui o inquinanti, tra Ong e trafficanti, eppure abbiamo sentito centinaia di persone in proposito». Oggi tocca a Zuccaro essere sentito dalla commissione Difesa al Senato. Vedremo se, dopo le accuse, saranno fornite anche le prove.

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