Ieri il Parlamento europeo ha votato contro l’Acta. Circa quattro mesi fa, su queste pagine, parlavamo dell’accordo multilaterale il cui acronimo sta per “Anti counterfeiting trade agreement”, contro la pirateria e per la tutela del diritto d’autore online. Lo facevamo con tono preoccupato, dato che a detta di molti esso si sarebbe rivelato come un sistema di «sorveglianza generalizzata dei consumatori e dei cittadini, che trasforma gli Stati in ausiliari di polizia al servizio delle grandi imprese». Così Jacques Attali, economista e saggista francese.
«È la prima volta che il Parlamento esercita le sue nuove competenze in materia di trattati commerciali internazionali -scrive il mensile E nel proprio sito-: 478 deputati hanno votato contro l’Acta, 39 a favore e 165 si sono astenuti. “Sono molto felice che il Parlamento abbia deciso di seguire la mia raccomandazione di respingere Acta”, ha affermato il relatore David Martin (gruppo parlamentare S&D) dopo il voto. “Tuttavia -ha aggiunto il relatore- l’Unione Europea deve trovare vie alternative per proteggere la proprietà intellettuale. Sosterrò sempre le libertà civili rispetto alla protezione del diritto di proprietà intellettuale”, ha infine concluso Martin.
La finalità del trattato era quella di rendere uniformi le leggi internazionali che regolano la proprietà intellettuale, così da poter disporre di strumenti più incisivi per contrastare la pirateria e la contraffazione online. Se l’Acta fosse stato approvato, ci sarebbe stata una pericolosa ingerenza non solo delle multinazionali titolari dei diritti d’autore, che avrebbero potuto agire in proprio, senza l’intervento dell’autorità giudiziaria, ma anche delle autorità nazionali di controllo sulle telecomunicazioni (in Italia è l’Agcom), con responsabilità anche di tipo penale per gli internet provider, che sarebbero così stati ritenuti corresponsabili delle attività degli utenti e di conseguenza avrebbero aumentato il controllo della rete e la censura dei contenuti pubblicati online.
Durante la discussione sull’Acta, il Parlamento Europeo era stato sottoposto a forti pressioni da parte di migliaia di cittadini europei che chiedevano la bocciatura del testo, con manifestazioni per strada, e-mail ai deputati e telefonate ai loro uffici. Il Parlamento ha anche ricevuto una petizione firmata da 2,8 milioni di cittadini di tutto il mondo, che si opponevano alla ratifica dell’accordo internazionale, negoziato in segreto tra gli Stati della Ue, Stati Uniti, Australia, Canada, Giappone, Messico, Marocco, Nuova Zelanda, Singapore, Corea del Sud e Svizzera. Con il voto di [ieri], né l’Unione Europea, né i suoi Stati membri, potranno far parte dell’accordo».
In realtà, come sempre, l’Italia si trova in una condizione paradossale, per il fatto di avere già recepito nel proprio ordinamento il corpus di norme che sarebbero state introdotte dall’Acta. Secondo Enzo Mazza, presidente di Fimi-Confindustria, «Questa è la dimostrazione dell’isteria collettiva di una politica che corre dietro alle istanze populistiche del web, senza ricordarsi nemmeno di ciò che ha votato qualche anno fa e che i giudici applicano quotidianamente». Ma, fa notare l’avvocato ed esperto di digitale Fulvio Sarzana, «Il vero pericolo risiede nella fase di recepimento: al cospetto dell’ok comunitario, il parlamento italiano avrebbe dovuto accogliere Acta e avrebbe probabilmente colto l’occasione per introdurre una sorta di emendamento Fava (la “legge bavaglio” proposta dal deputato leghista Gianni Fava a febbraio e subito bocciata alla camera, ndr)».