
Ieri mattina è morto Franco Bomprezzi, all’età di 62 anni. Bomprezzi è stato un grande giornalista e soprattutto un grande “lottatore”. Nonostante la vita l’avesse accolto con un pesante fardello, quello dell’osteogenesi imperfetta (detta anche malattia delle “ossa fragili”), egli non ha mai smesso di battersi su diversi fronti per difendere con determinazione il diritto delle persone con disabilità a essere trattate a partire dal loro essere persone, piuttosto che dalla disabilità. In particolare, il suo impegno si è concentrato sul mondo della comunicazione, in cui non ha mai smesso, fino all’ultimo, di indicare nuove strade per uscire dai cliché del politically correct, che hanno sempre caratterizzato il modo in cui la stampa e i media in generale si sono occupati di disabilità. Le sue creazioni più importanti sono state il portale SuperAbile.it e il blog, ospitato dal Corriere.it, Invisibili. Sua anche la sezione “disabilità” nel portale Parlare civile, un progetto che nasce per fornire un aiuto pratico a giornalisti e comunicatori che si trovino a occuparsi di materie sensibili e a rischio discriminazione.
Le parole che utilizziamo (in particolare noi giornalisti, visto che esse arrivano poi a un pubblico più o meno vasto) sono la conseguenza del nostro percorso culturale e sociale. Non di rado, anche inconsapevolmente, si può incappare in un’espressione discriminatoria, senza averne l’intenzione. Eppure la cosa non è meno grave, perché è dovere del giornalista porsi il problema delle conseguenze delle proprie azioni, legate inevitabilmente alla parola. Non neghiamo che anche noi di ZeroNegativo ci siamo appoggiati, nel dubbio, alla guida elaborata da Bomprezzi. Se anche istintivamente la locuzione “persona con disabilità”, piuttosto che “disabile” o (peggio ancora) “handicappato”, ci è sempre sembrata la migliore (finché qualcuno non ne elaborerà una ancora più buona) per riferirci a questi temi, è stato utile trovare una giustificazione storica nel glossario: «Negli ultimi 50 anni si sono confrontati due approcci sulla disabilità, uno che la vede come questione biologica della persona disabile e l’altro che vede nella disabilità una condizione sociale, un “prodotto” della società che discrimina. Nel primo modello (funzionalista) l’idea padrona è quella della “normalità” del sistema, cui il disabile deve sottostare e che interiorizza a sua volta. Oggi il “paradigma del modello sociale” è diventato dominante e ha favorito le rivendicazioni dei diritti delle persone con disabilità. Nel 2001 la nuova Classificazione internazionale del funzionamento disabilità e salute (Icf) dell’Oms ha introdotto l’espressione, diventata poi concetto giuridico, “persone con disabilità”».
Il contributo di Bomprezzi è arrivato fino alle stanze della Rai, dove ha collaborato alla stesura del codice di autoregolamentazione dell’emittente pubblica per le persone con disabilità, varato nel 1998. «Sulle news, ad esempio – scrive Redattore Sociale –, Bomprezzi invitava a chiudere il ciclo della notizia, a tenere conto delle persone disabili anche in contesti informativi non specifici, a completare le notizie di servizio anche con le informazioni per i disabili. Poi spazio all’accessibilità, alla mobilità per tutti. Per una nuova cultura della disabilità».
Nei giorni scorsi, il giornalista aveva scritto un articolo che sarebbe uscito nel numero di dicembre-gennaio del periodico “SuperAbile Magazine”, e che ieri il portale SuperAbile ha pubblicato. Al suo interno, una frase che esorta la parte giovane del giornalismo italiano a farsi carico di un problema che Bomprezzi continuava a sentire poggiato tutto sulle proprie spalle: «Ma mi domando: è possibile che il nostro mondo non riesca a elaborare con fantasia, ironia, leggerezza, coraggio, incoscienza, qualche altra chiave di comunicazione? Possibile che l’alternativa, orrenda, sia stato solo quel “diversamente abile” che tuttora invade e inquina ogni ragionamento sensato sulla pari dignità, sui diritti, sull’inclusione sociale? Forza giovani, scatenatevi. Io vorrei riposarmi».