Poche settimane prima dell’entrata in vigore del nuovo regolamento Agcom sulla tutela del diritto d’autore online, su questo blog pubblicavamo un articolo in cui, consultando il parere di esperti del settore e giuristi, paventavamo un possibile scavalcamento dell’autorità ai danni delle forze dell’ordine e della magistratura. L’autorità indipendente prospettava le novità introdotte come decisive per la lotta alla pirateria, mentre in molti erano invece più inclini a pensare che si trattasse di un modo per intervenire più rapidamente e senza contenzioso per rimuovere contenuti non graditi con metodi anche poco delicati, quali l’oscuramento di interi siti internet, anche solo per la presenza di una foto inserita (magari all’insaputa di chi l’ha fatto) in violazione del diritto dell’autore dello scatto. Al momento, peraltro, non si possono conoscere tutti i provvedimenti avviati dall’Agcom, perché, in barba a ogni principio di trasparenza, essa non è tenuta a rendere pubblici tutti i casi di cui si occupa, ma può scegliere a propria discrezione. Su Osservatorio censura sono pubblicati al momento cinque siti esteri che hanno subito l’oscuramento, ma sono molti di più quelli su cui l’autorità è intervenuta. Il primo dei quali in ordine di tempo «non ha riguardato un “sito pirata”, ma la presenza su un sito dedicato alle bellezze turistiche della Puglia di una fotografia senza l’autorizzazione del titolare dei diritti».
«L’Agcom – scrive l’avvocato e blogger Bruno Saetta – si è appropriata delle funzioni di polizia giudiziaria, del pm, dei giudici civili e penali, accorpandoli in un unico procedimento ristretto in termini brevissimi, incompatibile con qualunque diritto di difesa. Il fatto che le funzioni investigative e giudiziali siano materialmente esercitate da due organi differenti, non elimina il grave problema, visto che tali organi (Direzione e organo collegiale) sono mere suddivisioni dell’Autorità e agiscono sotto l’autorità e la supervisione di uno stesso presidente. Se così stanno le cose, cioè se l’Agcom esercita funzioni proprie della polizia giudiziaria, del giudice e infine emana ordine inibitori di natura sostanzialmente penale, ne consegue che il procedimento amministrativo normato dall’Agcom di fatto ha natura penale sostanziale». In gioco c’è la libertà d’espressione dei cittadini, nonché il rischio che l’autorità agisca non secondo i principi e le garanzie che è tenuta a rispettare l’autorità giudiziaria, bensì in maniera approssimativa e basandosi su “prove” che in un tribunale farebbero forse sorridere il giudice, come gli screenshot dell’ipotetica violazione. Inoltre, l’accusato non è necessariamente messo a conoscenza del procedimento a suo carico, ma solo «ove rintracciato», come dice il regolamento. In caso contrario, quest’ultimo potrebbe vedere i propri siti oscurati prima ancora di aver potuto dimostrare (se lo è) la propria innocenza. L’importante è fare in fretta, colpire.
Il perché di questo radicalizzazione dello scontro appare poco chiaro, se non si vuole accettare il fatto che ci sia una volontà di controllo estrema dei contenuti pubblicati sul web, una pratica che in fin dei conti finisce per proteggere soprattutto chi è già in situazione di potere, e avrebbe i mezzi economici per procedere a una causa per ottenere un risarcimento. Altre considerazioni interessanti di Saetta riguardano l’imparzialità dell’Agcom: «La stessa Agcom non appare un “giudice” imparziale ed indipendente. Perché accorpa in sé l’intero procedimento penale, sia la fase investigativa che quella giudiziale, con confusione di ruoli e funzioni. E comunque non possiamo non dimenticare che l’Agcom si occupa della regolamentazione dell’attività televisiva, e quindi opera a stretto contatto con i produttori di contenuti». In merito poi al fatto che i siti oscurati siano esclusivamente banche dati di opere coperte da copyright, va ricordato che «in genere i siti di quel tipo fungono da piattaforma di distribuzione di centinaia di migliaia di opere, tra le quali spessissimo sono presenti anche tutte quelle opere che non trovano alcun canale di distribuzione. Si tratta delle opere delle band musicali che stentano a farsi conoscere, degli scrittori in erba che si auto pubblicano, dei registi ed autori di documentari che non trovano spazio sui canali televisivi perché, casomai, quel tipo di argomento trattato è inviso all’establishment».